"Amori mannu di prima ‘olta, l’aba si suggi tuttu lu meli di chista Multa" Monti di Mola, F. De Andrè
Quando il bastimento ti sbarca sul molo olbiese vomitando lamiere e aspettative, se l'Isola non la conosci tutta, tre cose hai nella testa: la spiaggia, il porcetto, il mirto rosso. Quando il bastimento mi sbarca sul molo olbiese regalandomi un ritorno, io che l'Isola mi illudo di conoscerla, troppe cose ho nel cuore ma tre nella testa: la Gallura, l'agnello, il mirto bianco.
In continente il liquore di Mirto è sempre sardo e sempre rosso. La prima parte può solo inorgoglire chi questo liquore ancestrale, presente in tutto il mediterraneo, lo produce, la seconda invece lo farà sorridere. Perché il Mirto è anche bianco, perché di questo arbusto prepotente e profumato non si usano solo le bacche, si usano anche le foglie, verdi, lucide, persistenti.
Che poi si chiama bianco per puro senso di distinzione, perché bianco, di certo, non è.
Giallo solare, con quelle venature di verde smeraldo a dare lucentezza, è ottenuto per infusione delle foglie più "pulite" ed integre raccolte, come mi ha ricordato
Pietro Rau, soprattutto in maggio, dopo la fioritura, momento in cui contengono la maggior frazione aromatica.
Il Mirto bianco di Rau è macchia scottata dal sole, rotola, possente e voluminoso, nella dolcezza ruvida del miele, nelle grassezza pungente del verde spinoso, nel calore balsamico ed avvolgente che ti fa respirare piccole nuvole d'Isola.
La verità è che il Mirto bianco è liquore troppo poco conosciuto, privo dei tannini astringenti e del frutto spiritato che appartengono al fratello rosso, ma altrettanto potente, diverso, intenso, solo più difficilmente dolce. Che bevuto freddo è buono e pericoloso, che le ginocchia te le piega, e senza accorgerti rimani con il respiro corto ed il sorriso lungo, come davanti "al primo grande amore" che ti asciuga come fa "l'ape che succhia tutto il miele da questo Mirto".