Siete appassionati di name dropping? Allora sappiate che pochi vini vi soddisferanno quanto un grande Vinsanto. Qui ad esempio ci sono tè bianco, cannella, prugna, tabacco scuro, attorno ad una nota centrale di pesca noce praticamente solida, purissima, grande come una casa. Il resto delle analogie snocciolatele voi.
I più esperti noteranno una definizione molto rara a questi livelli di concentrazione, che di per sé ha pochi uguali. Un gradino sopra c’è la purezza: nessuna sfumatura rustica (niente panno bagnato, nessuna cantina ammuffita, nessuna nota acetosa), anzi una acidità che sembra un raggio laser. Quelli ancora più esperti rimarranno di pietra di fronte alla qualità dell’alcol, se così si può dire: le note eteree sono misuratissime (poi leggi l’etichetta, 9,5%, e tutto riporta).
Una prova davvero superlativa per quello che da molti è reputato il più grande Vinsanto del Chianti Classico. Unica richiesta: dovete amare i vini dolci dolci.
Curiosità a margine: non tutti gli storici concordano sull’origine del nome ‘Vinsanto’. La maggioranza risale all’utilizzo eucaristico, ma alcuni studiosi sono convinti che derivi da ‘Vino di Santorini’, la splendida isola greca, produttrice anch’essa di grandi(ssimi) Vinsanto.
Last, but not least, il prezzo: 50 € per la mezza bottiglia sono un autentico affare, e non è una provocazione. E buona Pasqua, ovviamente.