Ora qualcuno si chiederà: ha forse qualche contiguità o peggio ancora conflitto d’interessi lo Ziliani con questa Fattoria Sardi Giustiniani, da tornare, nel giro di quindici giorni, a scrivere di un suo vino? Sospetto legittimo, in questo mondo di furbetti e di giornalisti con il pelo sullo stomaco e il senso della deontologia molto labile, però, anche se il posto a giudicare
dal sito Internet è molto bello, ed il
wine resort molto attraente e perfetto per una vacanzina un po’ da ricchi, non ho problema, dopo aver parlato bene del loro
Vermentino, a tornare ad occuparmi di questa azienda agricola posto nell’area delle
Colline Lucchesi.
Parlo della
Fattoria Sardi Giustiniani, proprietà dei Conti Sardi da oltre due secoli, estesa su 45 ettari, di cui 20 di vigneti in conversione biologica, un percorso bio intrapreso nel 2006 con la certificazione Agriqualità per la viticoltura integrata. Vigneti che giacciono su terreni che come avviene spesso nella zona variano da argillosi ad argillo-sabbiosi con buono scheletro, e talvolta con buona presenza di calcare e godono di un clima fresco, ventilato, soleggiato e dal 2002 gestiti da Jacopo e Matteo Giustiniani, nipoti della Contessa Maria Adelaide Sardi.
Io in azienda non sono mai stato e non ho il piacere di conoscere i suoi responsabili. Ho ricevuto due campioni dei loro Vermentino e Rosato, li ho provati e mi sono piaciuti entrambi ed eccomi pertanto a parlarvi del rosato, che nasce da uve rosse, Sangiovese, Merlot, Ciliegiolo e in alcune annate Syrah, pensate in bianco.
Il Rosato della Fattoria “è un progetto personale di Matteo Giustiniani”, Bacco benedica chi ha progetti in materia di rosati, “e prende spunto dai rosati provenzali. Abbiamo della terra rossa ed il clima è simile a quello di quella ragione. Esistono due tipi di rosato in Italia: il primo è un rosso chiaro il secondo è un bianco macchiato. Noi sposiamo la seconda filosofia, quindi dalla vigna al vino finito questo vino è concepito come un bianco. Abbiamo due vigneti specifici per fare questo vino: uno di sangiovese e l'altro di merlot. Si vendemmia l'uva seguendo la maturità di un bianco (acidità, profumi e zuccheri). Le uve sono macerate a freddo ed il succo fermentato come un bianco. Una piccola parte è fermentato in legno dove svolge la malolattica. Tutte le masse maturano separatamente su fecce fini ed il blend è deciso qualche mese prima dell'imbottigliamento”.
Abbia quindi un Igt Toscana, da vigneti di età media da 10 a 50 anni, posti su suoli da argillosi ricchi in ossidi di ferro a limo-sabbiosi, che in fase di vinificazione vede il succo ottenuto da pressature o salassi in seguito a macerazioni con le bucce varianti dalle 4 alle 18 ore, con la fermentazione che si svolge in acciaio e parzialmente, solo un 5-10% della massa, in barrique. Segue affinamento sulle proprie fecce fini per 4-5 mesi, et voilà ecco un rosato di quelli seri. Che anche la mia lei, che notoriamente è una rosatista di palato fine e non facile da accontentare (datele un vino piacione e la sua furia, enoica, si scatenerà all’istante…), ha trovato pienamente di suo gusto.
Un rosato non virtuale, prodotto com’è in 13.500 esemplari. Colore rosa antico, buccia di cipolla, con tenui sfumature granate, mostra un naso caldo, maturo, intensamente agrumato, con note di ciliegia matura e lampone in sottofondo, un ricordo di rosa di bosco, di glicine, a comporre un insieme di grande finezza e freschezza aromatica.
La bocca ha un attacco ben secco, ma contemporaneamente succoso, rotondo, gustoso, con spalla salda e sviluppo in ampiezza, con polpa fruttata moderatamente dolce, coda lunga e persistente molto ciliegiosa impreziosita da una fresca acidità ben salata, da una vena leggermente minerale. Il tutto in una cornice di grande equilibrio di scoperta piacevolezza, con un bel dinamismo dolce/salato, che non scade mai in una banale e volgare piacioneria.
Gran bel rosato, anche se filosoficamente la presenza del Merlot (vitigno che non amo) nell’uvaggio non mi rallegra. Ma poiché funziona e non domina, viva!