Lo dico subito: non ho cambiato idea, continuo a pensare che per la produzione dei metodo classico italiani le zone storicamente vocate, per motivi climatici soprattutto, si trovino tutte al nord. E che i metodo classico espressioni di denominazioni specifiche come Franciacorta, Alta Langa, Trento, Oltrepò Pavese, abbiano molte più possibilità di entrare nella mente del consumatore rispetto a metodo classico generici (odio chiamarli “spumanti”) che non possano contare su apposite Doc o Docg. Eppure…
Eppure eccomi qui a raccontarvi di un metodo classico prodotto al Sud. In terra sicula. Il motivo per cui è stato scelto di scriverne è presto detto. Perché è buono, perché a differenza di altri blasonati (per il nome dell’azienda, non per il valore intrinseco del vino) “champenoise” siciliani, non ha scelto la strada della vinificazione dello Chardonnay “ucciso” da botte robuste di legno. Ha invece scelto, e questa cosa mi è piaciuta assai, la strada dell’autoctono, della vinificazione di uve siciliane come fanno sull’Etna, dove stanno ottenendo risultati davvero intriganti con le uve classiche, bianche e rosse, di quella terra meravigliosa. Uve che arrivano da vigneti posti tra le colline a NordEst di Campobello di Licata, in provincia di Agrigento, a quote intorno ai 350 metri di altezza. Se poi si aggiunge che i terreni vedono una quota di sabbia e di argilla dominante sul limo e che l’area risente dell'influsso climatico del mare (a circa 20 Km), come volano termico tra le stagioni, con escursioni termiche giorno-notte determinate dalla quota dell'altopiano, che consentono un accumulo di aromi, allora ecco rapidamente elencate alcune ragioni del mio interesse.
Se si aggiunge poi che il Rosé di cui parlerò è farina del sacco di un produttore, Giuseppe Milazzo, che dopo aver lanciato nel lontano 1974 la sfida degli “spumanti” in Sicilia e che oggi vuole ulteriormente stupire inventandosi un dosaggio zero rosato da uve Nero d’Avola (in rete circolano articoli secondo i quali sarebbe prodotto con Inzolia rosa e Chardonnay) un Pas Dosé senza liqueur d’expédition aggiunta, ecco spiegato come io, sostenitore accanito di Rosé e Dosaggio Zero, dovessi assolutamente occuparmene.
Non sarà facile trovarlo, perché la prima produzione conta 2000 esemplari ed è quindi una rarità che si affianca ad altre cinque “bollicine” già prodotte. Al Dosaggio Zero l’azienda è arrivata dopo cinque anni di sperimentazioni condotte con la consulenza dell’enologo franciacortino Cesare Ferrari e dell’agronomo Pierluigi Donna, sempre attivo in provincia di Brescia, nonché dell’enologo Angelo Divittini.
Con un affinamento variante tra i 12 ed i 15 mesi sui lieviti questo D. Zero a base di un’uva, il Nero d’Avola che in versione rosato mi aveva già convinto in
un’interpretazione firmata dall’azienda Marabino, e che dimostra un’insospettabile tempra anche come base “spumante” metodo classico, mi ha colpito oltre che per l’informazione precisa sulla data di sboccatura fornita in retroetichetta (23 novembre 2012), per la sua spiccata personalità. E la sua innegabile piacevolezza.
Colore cerasuolo scarico, melograno rosa pallido, brillante e luminoso e bellissimo a vedersi nell’ampio bicchiere (per la mia degustazione ho usato il nuovo “calice Franciacorta”), ha continuato a colpirmi con il suo perlage molto fine, sottile e continuo. Bello il naso, molto fresco, salato, minerale, con un bouquet molto fragrante che richiama i fiori d’arancio, il pompelmo rosa, la scorzetta di limone, ma anche ribes, lampone e ancora il melograno, a comporre un insieme variegato e di notevole finezza. Ancora meglio l’attacco in bocca, incisivo, secco, nervoso, che abbina una certa calibrata dolcezza di frutto, una buona succosità, controllata e un notevole nerbo acido-sapido che conferisce al vino ritmo, scatto, incisività, un buon allungo e una certa verticalità persistente e nervosa ed un finale su note petrose e di mandorla non tostata.
Per essere un divertissement fatto da un outsider della spumantistica in una regione che continueremo ad amare soprattutto per bianchi, rosati e rossi fermi e che non diventerà mai “la piccola Champagne italiana”, un vino davvero ben riuscito.