L’avevo già ricordato, in questo post dedicato ad
un ottimo Castel del Monte Bombino nero rosato, che dal 2011 l’Italia dei vini ha una Docg in rosa (in verità due) perché accanto al vino proveniente dal nord Puglia, in Campania, ed è stato il primo in assoluto, l’Aglianico del Taburno in versione rosato ha raggiunto lo status di vino a denominazione d’origine controllata e garantita.
Riconoscimento giusto, considerato che in questa zona posta nel cuore del Sannio Beneventano dalla tradizione vitivinicola antichissima (citazioni del vino sannita si trovano negli scritti di Platone Comico (V sec a.C.) e nella Naturalis Historia di Plinio) si lavora su quella uva straordinaria che è l’Aglianico, che con il passaggio alla Docg, anche la tipologia rosato e non solo Aglianico del Taburno rosso e rosso riserva, la ricevesse, perché anche se l’Aglianico resta una straordinaria uva da grandi rossi importanti, anche vinificata in bianco e destinata ad un rosé mantiene intatto il proprio carattere.
Non so, penso siano meno di una decina, quanti siano i produttori di quell’area che producono rosati di Aglianico (mi piacerebbe poterli assaggiare tutti) ma sicuramente una delle realtà di riferimento, piccola e agguerrita e dotata di
una vasta gamma di vini, Greco, Fiano, Falanghina, Piedirosso, Aglianico del Taburno, è la
Fontanavecchia condotta da Orazio Rillo e ora dal figlio Libero, con cantina e vigneti nel territorio di Torrecuso, posto in collina, e distribuito dalle sponde del fiume Calore alle pendici del monte Pentime del comprensorio del Taburno con una fascia che comprende anche Torre Palazzo.
Terreni ben soleggiati che si prestano bene alla coltura della vite, una dozzina di ettari per una produzione intorno alle 160 mila bottiglie. Anche a Torrecuso la produzione di vino risale a circa cento anni fa. E fino agli anni ‘50 il terreno era per lo più spezzettato in piccoli poderi sui quali si coltivava di tutto con le tecniche del tempo. Il ricavato appena soddisfaceva i bisogni delle famiglie.
L’imbottigliamento è iniziato nel 1990, con una forte spinta da parte dell’enologo Angelo Pizzi, molto conosciuto in zona. Fontanavecchia crede molto alla produzione del rosato di Aglianico, tanto che ne produce anche una versione metodo classico denominata Lotario e del vino fermo propone un quantitativo significativo e non virtuale, 14 mila pezzi.
Da vigneti collinari posti a 300 metri di altezza e coltivati a guyot, uve raccolte a mano nella prima decade di ottobre, si ottiene un rosato, vinificato in bianco con fermentazione in acciaio a temperatura controllata per circa 15 giorni e affinamento sempre in acciaio della durata di almeno 5 mesi, di cui ho aspettato a scrivere, perché lo ritengo più adatto alla cucina autunnal-invernale che estiva, perché trattasi di un rosato con gli attributi, ottenuto, lo ricordo ancora, dall’Aglianico e non si sa da quale uvetta sciapa…
Colore melograno rosa antico, di bella intensità e brillantezza, colpisce subito con il suo naso caldo, maturo, quasi da rosso nella sua vinosità ed intensità, di forte impatto, avvolgente e molto succoso, con frutta rossa in evidenza, accenni agrumati, ricordi di liquirizia e una leggera speziatura.
La bocca è, dal primo sorso, carnosa, voluminosa, ricca, di grande stoffa e ampiezza, con un bellissimo frutto, giustamente maturo in evidenza, alcol calibrato nonostante i tredici gradi e mezzo, salda struttura tannica molto aglianicheggiante, ricchezza e persistenza.
Un vino molto consistente ma equilibrato, con una calibrata vena minerale, di grande piacevolezza e impegno, che io abbinerei a carni in preparazioni in umido con pomodoro, a piatti di pesce saporiti e consistenti, a spezzatini e salsicce e perché no, anche alla succulenta braciola napoletana…