Non è un mistero per nessuno che il Soave, inteso come vino e come zona di produzione, mi piaccia moltissimo e che sia ben contento quando abbia occasione di scriverne. Sono persuaso che la Garganega, spina dorsale di questo popolarissimo bianco veronese, sia uno dei grandi vitigni identitari bianchi italiani, che i vigneti del Soave siano un autentico spettacolo, quasi da patrimonio dell’Unesco, e trovo che anno dopo anno cresca, prodotti da aziende piccole, medie e grandi, il numero di coloro che onorano, con vini che abbinano personalità, complessità e bevibilità, l’immagine del vino veneto e italiano.
Tra le aziende più interessanti del panorama soavesco ho inserito da qualche anno, da quando in una degustazione fatta in Consorzio, seguita da visita in azienda, ho scoperto che i loro vini mi piacevano moltissimo, una piccola realtà produttiva che ha cominciato ad imbottigliare i vini con propria etichetta dalla difficile annata 2003 (torrida e siccitosa) anche se la famiglia Tessari, uno delle tante famiglie Tessari presenti nella zona, è una dinastia di agricoltori e viticoltori operanti nella Vallata d’Alpone dall’800.
Sto parlando dell’azienda I Stefanini, nome derivante da un antenato di nome Stefano, proprietaria di qualcosa come 20 ettari in Crosara di Monteforte d’Alpone. Ogni volta che bevo i Soave dei Tessari / Stefanini, mi chiedo, senza dimenticarmi mai il Soave base denominato Il Selese (Garganega con un 10% di Chardonnay) che è pur ottimo, se mi piaccia di più il cru Monte de Toni o il Monte de Fice, entrambi ottenuti da vigneti collinari di trent’anni, da terreni vulcanici, ricchi in ossidi di ferro, lungamente affinati sui lieviti con una resa per ettaro leggermente inferiore per il Monte de Fice, ma un altezza del vigneto appena superiore (150 contro 100 metri di altezza), entrambi ottenuti da uva Garganega al 100%, entrambi veramente buoni.
Per questo primo martedì di novembre ho scelto di parlarvi del Monte de Toni, annata 2012, prodotto sempre nella magnifica zona collinare Monte Tenda Costalunga, da un vigneto allevato a pergoletta veronese con 2500 piante per ettaro. Un vino che nasce con una tecnica semplicissima in cantina, che prevede un lungo affinamento sui lieviti e malolattica parziale. A me questo vino, forse un po’ più “largo” del Monte de Fice e ottenuto da uve raccolte in condizioni di leggera surmaturazione (almeno questa l’impressione che ho avuto da questo 2012), è decisamente piaciuto, dandomi in pieno l’idea di quello che possa essere un Soave classico espressione di grandi vigneti posti su terroir vulcanico.
Colore paglierino verdognolo brillante, un verdolino che evoca il tono della mela verde, brillantissimo e luminoso nel bicchiere, si propone con un naso solare, suadente, avvolgente e mediterraneo, di grande intensità, con frutta gialla, soprattutto pesca e pesca noce, noci e mandorle in evidenza, fieno e fiori secchi, un leggero tocco di miele e una vena di sambuco, di mostarda di fichi, a comporre un insieme denso, ma fragrante, di bellissimo impatto, con una nitida nota salata e minerale.
La bocca è ricca, piena, succoso, di grande ampiezza, energia e dinamismo, scattante, larga sul palato e godibile, con una bella vena acida ad innescare l’energia di tanta materia, un alcol perfettamente bilanciato e una persistenza lunga. Un Soave classico che abbinerete, con soddisfazione, a primi piatti a base di verdure e pesce, ad un branzino al sale o al forno, ma anche, perché no, a carni bianche.