Non si sbaglia di certo quando si afferma che la piccola produzione vitivinicola della Liguria, stimata intorno ai 1500 ettari, e ai 46 mila ettolitri prodotti nella vendemmia 2013, è conosciuta prevalentemente grazie ai suoi vini bianchi. Ai Vermentino (Riviera Ligure di Ponente e Colli di Luni), al Pigato, al Cinque Terre, e ad altri bianchi minori, che costituiscono una produzione di “vini da pesce” di primario livello. Non mancano però validi vini rossi, e le statistiche ci dicono che anche se meno noti dei bianchi la loro produzione negli ultimi anni è cresciuta anche del 30-40%.
Ho già scritto qualche tempo fa di quella stupenda (e particolare) versione del Dolcetto piemontese rappresentata dall’Ormeasco di Pornassio o semplicemente Pornassio, comune della provincia di Imperia situato in
Valle Arroscia, che dà il nome a questa denominazione che esprime vini di grande bevibilità e ricchezza aromatica incredibilmente in grado di evolvere bene e durare nel tempo. Oggi voglio invece parlare di quella che è la più storica (la Doc è del 1972) e la più importante tra le denominazioni in rosso della Liguria, e che troviamo tra la Riviera dei Fiori e la Costa Azzurra in provincia di Imperia, e comprende 14 comuni, o frazioni di comuni, distribuiti nelle valli Nervia, Crosia e Val Verbone, comprese nell’area della denominazione. Nemmeno un centinaio di ettari dislocati in un territorio pedemontano che va dai 300 ai 600 metri di altezza, questo l’areale del Rossese di Dolceacqua, che prende nome dall’incantevole
borgo medioevale dal ponte a schiena d’asino e da un’uva e da un’uva, il Rossese, che sembrerebbe imparentata con la varietà francese tibouren oggi utilizzata per la produzione di rosati nella AOC Provence.
Una varietà piuttosto delicata il Rossese, molto sensibile alle varie patologie della vite, che il disciplinare di produzione prevede venga utilizzata almeno per il 95%. Ma vale la pena lottare contro questa delicatezza dell’uva, perché lavorando con cura, disponendo dei vigneti giusti (alcuni dei migliori, allevati ad alberello, talvolta su vigneti terrazzati, sono quasi secolari e addirittura su piede franco) si riescono ad ottenere vini unici per complessità aromatica e qualità dei tannini.
Un qualcosa che per certi versi può ricordare i Pinot noir, con una punta di selvatico, di macchia mediterranea, di menta. Grazie al lavoro di un attivo gruppo di produttori, l’Associazione Vigne Storiche del Rossese, (faccio qualche nome, Luvaira, Galeae, Posau, Beragna, Poggio Pini ) e di una nuova generazione di vignaioli che facendo tesoro dell’esperienza di portabandiera della denominazione come Mandino Cane sono riusciti ad interpretare ancora meglio i terroir di riferimento, il Rossese di Dolceacqua è tornato a brillare. Esprimendo sia vini più immediati, da apprezzare e consumare più giovani, (interessanti alcune versioni in rosato) sia vini che danno il loro meglio dopo alcuni anni di affinamento in bottiglie.
Oggi il Dolceacqua è tornato ad essere un vino che ha la giusta ambizione di uscire dai confini un po’ ristretti dell’apprezzamento (e spesso del culto) locale e che vuole farsi conoscere. E ci riesce.
Oggi i portabandiera della denominazione sono piccoli produttori come Maccario Dringenberg, Kà Manciné, Terre Bianche, Tenuta Anfosso (per citarne solo alcuni), ma anche un produttore importante per la Liguria come Lupi, che produce Rossese da un vigneto di vent’anni posto a Soldano, con stile un po’ più moderno, con fermentazione e macerazione acciaio di 8-10 giorni, riesce ad ottenere, lo dimostra questo 2012, un vino, meno impegnativo di altri, più diretto, decisamente ben fatto e piacevole.
Colore rubino brillante di grande lucentezza, si propone con un naso caratteristico, fragrante, che evoca il ribes, i lamponi, la mora di rovo e poi accenni di menta, liquirizia, macchia mediterranea, e una speziatura che richiama pepe nero e ginepro.
La bocca è diretta, viva, essenziale, di ottima freschezza, abbastanza polputa e succosa, con una presenza tannica calibrata, e una sapidità, o meglio, un sale, che si abbina a note minerali e leggermente terrose, con accenni balsamici e un finale lungo e pieno di sapore. Un vino, il Rossese di Dolceacqua, che vale decisamente la pena tenere d’occhio e imparare a conoscere.