Per i beer geeks, che oramai non riescono più a bere nulla che non abbia dentro almeno una carriola di luppolo al litro senza definirlo dolce o sciatto, è l’ingrediente più importante. Di sicuro è quello più contemporaneo e modaiolo, quello più eclatante, ma può rivelarsi misterioso e affascinante per il neofita che qualche volta ha un’idea un po’ confusa del suo ruolo, assodato che tutti sappiamo che è un vegetale.
Sgombriamo subito il campo confermando quanto tutti voi già sapete, qualcuno magari titubando: il lavoro del luppolo è prima di tutto quello di apportare amaro nella birra e la sua è una funzione essenziale nell’equilibrio col dolce del malto. Il luppolo ha anche altre proprietà fra cui quella, fondamentale in passato, di apportare sostanze conservanti. In tempi remoti questo lavoro amaricante e conservante veniva svolto da miscele non meglio specificate di erbe, radici e spezie – il gruit – ma possiamo sbilanciarci affermando che il luppolo in sostanza se la cava piuttosto meglio, visto il successo che ha raccolto nei secoli.
La pianta è un rampicante della famiglia delle
cannabinacee, ma non cercate facili e legali effetti gagliardi: per quello vi dovrete accontentare del lavoro svolto dal lievito e dell’alcool da lui prodotto. Si coltiva a latitudini temperate, ed oramai a tutte le longitudini del mondo. Si usano le infiorescenze femminili, che vengono raccolte ed essiccate, quindi conservate sottovuoto e a bassa temperatura. Il luppolo teme molto l’ossidazione che disperderebbe in breve tempo tutte le sue proprietà amaricanti ed aromatiche.
Naturalmente il ruolo del luppolo non è relegato solamente all’apporto dell’amaro, perché i fiori contengono anche diversi oli aromatici dai nomi qui sorvolabili. L’amaro proviene dai famigerati alfa acidi in esso contenuti che qualsiasi homebrewer, anche alle prime armi, conosce. Sono infatti gli alfa acidi uno dei principali criteri di distinzione dei luppoli: più sono elevati, più alto è il potenziale amaricante del tal luppolo. La loro estrazione richiede alte temperature e questo è uno dei motivi della lunga ebollizione che segue l’estrazione gli zuccheri dal malto e la filtrazione del mosto. È questo il momento in cui viene utilizzato, con gittate in tempi diversi a seconda che si cerchi amaro o aroma: più lungo il tempo, maggiore l’amaro, minore l’aroma, e viceversa.
Il luppolo non è volubile come il frutto della pianta della vite, ma anche lui nel suo piccolo risente delle differenti condizioni climatiche e territoriali e in base a queste fornisce risultati diversi. Ci hanno provato, ma un luppolo tedesco coltivato nello stato di Washington non è proprio come coltivarlo in Baviera… Ogni regione ha i suoi luppoli con caratteristiche comuni: in Republica Ceca il nobile Saaz, che più che una varietà è una regione di coltivazione, floreale e delicatamente speziato, in Germania i delicati luppoli erbacei e floreali della zona dell’Hallertau o di Tettnang, nel Regno Unito luppoli terrosi e pepati, negli Stati Uniti luppoli molto agrumati e resinosi, fino al Pacifico da dove arrivano luppoli con caratteristiche note di frutta tropicale. Ovviamente, generalizzare è come sempre un errore: ogni luppolo ha le sue sfaccettature uniche ed esistono molte varietà che escono dai canoni per i quali una regione è conosciuta. Non so, se uno si aspetta dal Glacier la classica bomba di pompelmo americana avrà qualche delusione, tanto per dirne una.
Il mercato del luppolo non è mai stato fiorente quanto oggi. Si diceva che è la moda del momento, non a caso ogni anno vediamo apparire una decina di nuove varietà figlie di qualche incrocio botanico. Gli incroci sono serviti per ricreare in zone nuove, soprattutto in USA, luppoli che avessero caratteristiche “europee” visto che i cloni originali non avevano fornito risultati eclatanti nel Nuovo Mondo. Si è cercato anche di ampliare la gamma disponibile di incroci con caratteristiche innovative divenuti oramai “autoctoni”, penso all’oramai celeberrimo Cascade americano ed ai luppoli che ne hanno seguito le orme. Oggi da un lato si alimenta il mercato della novità continua, che è fiorente, con un florilegio di nuove referenze, dall’altro si cerca di creare varietà con alfa acidi molto elevati e dignitose proprietà organolettiche, perché alti alfa acidi significa meno luppolo a parità di amaro e quindi meno costi. Oltre al fatto che in un mercato in piena esplosione certe varietà sono così richieste che oramai non bastano più per tutti.
Se vi siete mai spinti ne bassifondi del web birrario avrete sentito spesso parlare di IBU a proposito di amaro. Vuol dire International Bitterness Unit ed è la scala che misura l’amaro di una birra, cioè la quantità di alfa acidi in essa presenti. Più alto è l’IBU, più è amara. Due accorgimenti: una birra con meno IBU può risultarvi più amara di una che ne ha di più. Niente di strano, una birra amara può anche essere molto dolce, una meno amara può essere secchissima. Dolce e amaro non sono infatti in contrapposizione, anzi è sulla loro complementarietà che si gioca quasi tutto. Secondo accorgimento: l’IBU misura l’amaro, che è solo un lato della medaglia del luppolo. C'è pure il suo aroma. I cosiddetti luppoli nobili europei, quelli con pochi alfa acidi, possono donarvi un aroma travolgente accarezzandovi le papille con un amaro garbato, un resinoso luppolo americano ve le smeriglierebbe.