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Era il marzo del 2001, c’erano ancora le lire e un orafo di Firenze pagò all’asta una fiorentina di 2 chili e 300 grammi la bellezza di 10 milioni, surclassando l’offerta di una celebrità come Elton John, che si fermò a 7 milioni. Cosa stava succedendo? Probabilmente è un episodio che non avete dimenticato, quello del funerale della fiorentina organizzato dal “macellaio poeta” Dario Cecchini nel momento in cui la famosa bistecca veniva bandita dalle tavole a causa del morbo della “mucca pazza”, comparso per la prima volta in Italia nel gennaio 2001.
20 anni dopo se ne torna a parlare perché dal 12 gennaio la bistecca fiorentina - in seguito a diverse vicissitudini - entra a far parte dell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) che, come cita Coldiretti: comprende specialità che sono particolarmente tradizionali e legate a un territorio e alla sua storia: dai metodi di realizzazione, conservazione, stagionatura, creazione che si sono consolidati e protratti nel tempo, secondo le regole tradizionali e per un periodo non inferiore a 25 anni.
Insomma, una riabilitazione completa dopo che gli effetti dell’emergenza sanitaria dell’epoca avevamo reso uno dei simboli della cucina toscana un cibo illegale.
Perché è importante dare questa notizia? Per spiegarlo bisogna tornare indietro nel tempo, proprio al gennaio del 2001, quando nel nostro Paese si verificò il primo caso di quello che è comunemente chiamato “morbo della mucca pazza” e che in realtà identifica l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), una malattia tipica delle mucche che aveva colpito anche gli esseri umani e che dall’Inghilterra si era propagata in Europa. Il contagio (sia negli animali che nell’uomo) - come spiega in modo chiaro il sito della Fondazione Veronesi - avveniva nel momento in cui si mangiava carne che poteva essere contaminata con tracce di materia cerebrale.
Da qui le misure per contrastarla, con il divieto di consumare quei tagli di carne che potevano essere più pericolosi, quelli a stretto contatto con il cervello e il midollo spinale dell’animale: quindi, come ricorda Coldiretti, per molto tempo piatti della nostra tradizione come la pajata, l’ossobuco e la fiorentina sono stati esiliati, per poi ricomparire sulle tavole nel 2008.
Cos’è successo nel mentre? Sono aumentati in tutta Italia i controlli sull’intera filiera della carne, che hanno portato non solo al divieto di nutrire i bovini con farine animali, quindi con una maggiore attenzione alle forme di alimentazione degli animali, ma anche alla creazione di meccanismi di tracciabilità, per garantire sicurezza e qualità della carne nazionale.
Ovviamente non si può paragonare il morbo della “mucca pazza” con l’epidemia che stiamo vivendo, però si può notare una stessa incidenza sul modo di rapportarsi al cibo, con sempre maggiore consapevolezza. Non è un caso, infatti, che nel 2020 il termine sostenibilità sia stato così ricorrente e che le azioni in quella direzione caratterizzeranno anche gli anni a venire. E il consumo di carne è già un ambito di discussione davvero sfidante e complesso: basti pensare alla sempre maggiore ricerca sia di consumarla in modo equilibrato all’interno di una dieta sia di sostituirla con alimenti alternativi (da quella stampata a quella vegetale).
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