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Un dolce ricco e fragrante, che sotto una superficie dorata nasconde un ripieno sontuoso. È il presnitz, una specialità che porta con sé i sapori e le peculiarità del suo luogo d’origine
Città di confine dall’anima internazionale, Trieste è un vivace crocevia di culture e religioni, dove il Mediterraneo incontra l’Oriente e la Mitteleuropa.
Una straordinaria ricchezza di volti, storie e tradizioni che sfumano l’una nell’altra, dando vita a un mix unico e affascinante.
Ve ne accorgerete facilmente passeggiando per le sue strade, a due passi dal mare ma già sotto l’ombra del Carso, oppure dando un’occhiata alle elegantissime vetrine delle caffetterie e pasticcerie del centro. Qui, fra le luci di Natale, potrebbe capitarvi di adocchiare il presnitz, un dolce invitante, simile a un ferro di cavallo chiuso su sé stesso. Andiamo a scoprirlo insieme!
È una delizia triestina, tipica dei giorni di festa, che ricorda altri dolci nati a pochi chilometri di distanza: la gubana, la putizza, lo strudel. Protagonista delle tavole natalizie, il presnitz sarebbe in realtà nato come dolce pasquale, volendo ricordare nell’aspetto la corona di spine posta sul capo di Gesù.
Come per tutti i piatti tradizionali, ogni famiglia e ogni pasticceria ha una sua ricetta, perfezionata nel corso degli anni. Ma, sebbene gli ingredienti possano variare da una versione all’altra, il presnitz è solitamente composto da una base di pasta sfoglia (per alcuni pasta frolla) che racchiude una farcia fatta con noci, mandorle, pinoli, fichi, prugne, albicocche, uvetta, canditi, cioccolato grattugiato, zucchero, cannella e rum. Una vera prelibatezza, da gustare in famiglia o con gli amici nei momenti più speciali dell’anno.
Un ripieno così sontuoso la dice già lunga, ma è soprattutto nel nome, e nelle molte storie che circondano le sue origini, che il presnitz svela la sua anima triestina.
Secondo la leggenda più diffusa, il dolce sarebbe nato a metà dell’Ottocento, quando la città, tirata a lucido, si preparava ad accogliere l’ospite più gradita di sempre: la principessa Sissi, futura moglie dell’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria.
Fra gli artigiani si scatenò una gara per offrire alla giovane aristocratica il meglio delle loro produzioni, e i pasticcieri non furono da meno. Uno di questi, per l’occasione, inventò un dolce particolarmente lussuoso, con sopra impressa la scritta: “Se giri il mondo torna qui”. Giudicato il migliore, venne insignito del Premio Principessa, Preiz Prinzessin in tedesco, e da qui, per contrazione, deriverebbe il nome presnitz.
Per onore di cronaca, c’è chi sposta la storia indietro nel tempo di almeno due decenni, facendo risalire la nascita della gustosa torta al 1832, quando un’altra coppia di regnanti fece visita a Trieste: Francesco I d’Austria e la moglie, Carolina Augusta.
Essendo già sposata, la donna era però imperatrice, e fra l’altro ai tempi Sissi non era ancora neppure nata, quindi l’allusione etimologica alla principessa sembra piuttosto traballante.
In realtà c’è un’altra ipotesi, certo meno suggestiva ma forse più fondata, che fa risalire il nome del dolce a presnec, termine sloveno usato come diminutivo di presen-kruh, ossia il pane non lievitato. In effetti, a contenere il golosissimo ripieno del presnitz è uno strato di pasta sfoglia, o comunque di un impasto privo di lievito, cosa tipica fra l’altro della tradizione culinaria ebrea.
A Trieste, nell’Ottocento, la comunità ebraica viveva un’epoca di grande sviluppo, potendo contare qua su molte più libertà che altrove. Fondate da famiglie ebree erano, fra l’altro, diverse pasticcerie (allora dette offellerie) della città, specializzate in dolci kasher.
Proprio in una di queste il gastronomo Pellegrino Artusi assaggiò il suo primo presnitz e, nel fortunato volume La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891), lo descrisse così: «Eccovi un altro dolce di tedescheria e com’è buono! Ne vidi uno che era fattura della prima pasticceria di Trieste, lo assaggiai e mi piacque. Chiestane la ricetta la misi alla prova e riuscì perfettamente».
Grande ammiratore del presnitz fu, fra gli altri, lo scrittore irlandese James Joyce, che all’inizio del Novecento visse e lavorò a lungo a Trieste. Lo stesso vale per Italo Svevo, la cui casa era una sorta di salotto buono della città, luogo d’incontro per gli intellettuali della zona e di passaggio.
Qui approdò anche un altro triestino, il geniale critico d’arte e filosofo Gillo Dorfles, e si vide offrire una fetta di presnitz. All’inizio non gli fece una buonissima impressione, tanto che non esitò a definirlo, con una parola che egli stesso contribuì a diffondere in Italia, molto kitsch. Ma dopo l’assaggio non ci furono più dubbi e anche lui ne rimase irrimediabilmente conquistato. Come tutti noi, del resto!
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