Tutte le pizze di Milano
Abbiamo chiesto al critico gastronomico in incognito di raccontare cosa vuol dire, oggi, mangiare una pizza nel capoluogo lombardo. Ecco la sua cavalcata tra le pizzerie della città: dalla napoletana alla griffata, passando per la pizza gourmet
“Ci mangiamo una pizza?”
Fino a ieri, a Milano, bastava dirsi così. Ed era facile intendersi. La pizza poteva essere buona o fetente, fatta con arte o coi piedi, ma era un punto di riferimento comune e univoco. Una parola d’ordine d’uso universale.
Oggi, le cose sono mutate radicalmente sulla spinta di una fioritura eccezionale che ha caratterizzato gli ultimi tre anni, atomizzando l’offerta e moltiplicando le variabili. Mentre leggete queste righe, stanno certamente inaugurando una nuova e scintillante pizzeria da qualche parte in città. Il flusso non si arresta. E le mode si accavallano.
“Ci mangiamo una pizza?”
“Che pizza, scusa?”
Ne abbiamo una per ogni capriccio.
Oggi, le cose sono mutate radicalmente sulla spinta di una fioritura eccezionale che ha caratterizzato gli ultimi tre anni, atomizzando l’offerta e moltiplicando le variabili. Mentre leggete queste righe, stanno certamente inaugurando una nuova e scintillante pizzeria da qualche parte in città. Il flusso non si arresta. E le mode si accavallano.
“Ci mangiamo una pizza?”
“Che pizza, scusa?”
Ne abbiamo una per ogni capriccio.
La Napoletana
La pizza di Starita
C’è, innanzitutto, la pizza napoletana. Forte di cornice, sottile e lieve all’interno. È la pizza più complessa, suscettibile, umorale. Quella a più alto coefficiente di difficoltà. La troverete al suo meglio nel caos perenne di Starita. Ma non è da meno quella di Da Zero che si avvale del prezioso concorso di eccellenti materie prime cilentane.
La Gourmet
La pizza di Crosta
La cosiddetta pizza “gourmet” ha radici assai più recenti. E principia dalla censurabile idea che la pizza, se sfornata con coscienza, non sia già prelibatezza da gourmet. Pazienza. Ma che cos’è? Una focaccia sormontata da ingredienti di alta qualità, deposti a crudo successivamente alla cottura. Ce la servono già tagliata a spicchi, come si fa per i bambini. Temono forse che la nostra perizia coi coltelli sia inadeguata ai loro prodigi gastronomici. Nella maggior parte dei casi, la cottura non è a legna, ma elettrica. Non fatevi fuorviare dai pregiudizi, però: gli esiti sono comunque eccellenti e meno difformi. A pari merito, nella classifica di questa specialità, poniamo Berberè (piccola catena in espansione nazionale) e Crosta, panetteria con tavoli e servizio (allo sbando) per un veloce consumo in loco.
La Mignon
La pizza di Briscola
Vengono da Pescara le pizzettine mignon, sottili e croccantine, di Pizza Trieste e di Al Pizzetta. Appena più grandine, e più gonfie lungo il bordo, quelle di Briscola Society, ennesima insegna seriale, che non ha nulla da spartire con l’Abruzzo. Poiché nasce da una intuizione imprenditoriale tutta milanese.
Al trancio e al taglio
La pizza al taglio di Pizzottella
Ci sono, poi, le pizze al trancio, di matrice toscana, alte e panose, cotte in teglia con un filo d’olio per dare croccantezza alla base. Sono il capolavoro quotidiano di Martino, antico “cibicotti”, sopravvissuto sino a oggi. E della Pizzeria Fusco, campione cittadino anche della farinata.
Romana de Roma la pizza al taglio, sconosciuta a queste latitudini sino a una manciata di mesi fa. Cotta in teglia rettangolare. Sottile e “scrocchiarella”. Nessuno la sa interpretare meglio di Jacopo Mercuro, nel suo Pizzottella.
Romana de Roma la pizza al taglio, sconosciuta a queste latitudini sino a una manciata di mesi fa. Cotta in teglia rettangolare. Sottile e “scrocchiarella”. Nessuno la sa interpretare meglio di Jacopo Mercuro, nel suo Pizzottella.
La pizza griffata
La pizza di Amor
Chiudiamo con le pizze griffate da chef stellari. Noblesse oblige. Impossibile ignorarle, anche se la tentazione ci solletica. È prudente, in ogni caso, tenerle in coda: convincono poco. Anzi, pochissimo se ci riferiamo agli spicchietti del pluridecorato chef Massimiliano Alajmo (il locale si chiama Amor). Due versioni, con impasto morbido o croccante: entrambe da dimenticare. Di ben altra qualità, la pizza di Carlo Cracco, servita esclusivamente nel bistrot in Galleria. Ha un solo difetto: costa 20 euro.
Gli indirizzi
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