Sfatare le fake news sulla soia: fa male, non fa male, devasta l’ambiente, chi è che la mangia per davvero

E' vero che le coltivazioni di questo legume sono dannose per la natura e che a causa di vegani e vegetariani stiamo distruggendo l'Amazzonia? Non esattamente: ecco per cosa viene usata davvero, chi la mangia, se fa male oppure no

“A furia di usare la soia per tutto e dappertutto, vegani e vegetariani stanno devastando il mondo”: questo si sentono dire da anni, vegani e vegetariani, che appunto utilizzano questo legume per sostituire molti alimenti di origine animale. Ma è vera questa cosa? Davvero “a furia di usare la soia stiamo devastando il mondo”?

Sì. Però no.

Sì nel senso che la soia è uno degli alimenti più coltivati (secondo la Fao, la produzione annua sfiora le 350 milioni di tonnellate), ed è ovvio che i terreni usati per l’agricoltura sono terreni e spazi sottratti alla natura (sul Cucchiaio l’abbiamo spiegato con l'articolo Quello che mangiamo è quello che inquiniamo ). E però no nel senso che di tutta questa soia, vegani e vegetariani mangiano soltanto una piccola parte. Quanto piccola? Minuscola: sempre secondo la Fao, solo il 4% della soia coltivata in Brasile è usata come cibo per le persone; di più: secondo l’Isaaa, circa il 97% della soia che arriva dal Brasile è geneticamente modificata e dunque non adatta per essere utilizzata per l’alimentazione umana. I dati del Brasile sono importanti non solo perché è il secondo produttore al mondo di questo legume (il primo sono gli Stati Uniti), ma perché è in Brasile che sta gran parte dell’Amazzonia, ed è l’Amazzonia che viene disboscata per creare lo spazio enorme che serve per queste coltivazioni.

Il grafico Our World in Data mostra la crescita della produzione di soia dal 1961 al 2018

Per che cosa usiamo (davvero) la soia

Detto che non è la domanda di vegani e vegetariani che genera tutta questa offerta, allora per che cos’è che le usiamo, le 350 milioni di tonnellate di soia che produciamo ogni anno? Per nutrire gli animali negli allevamenti. Quelli che poi mangiamo come carne, bianca o rossa, oppure latte, formaggi, uova e così via. Non sarà troppa, tutta questa soia? Non ci sarà qualche errore di calcolo? Com’è possibile questa discrepanza fra quella che mangiamo noi e quella che mangiano gli animali (che comunque poi mangiamo noi)? Nessun errore: è possibile perché negli allevamenti del mondo ci sono quasi un miliardo e mezzo di capi di bestiame e quasi 26 miliardi di polli, che hanno bisogno in media di circa 15-20 chilogrammi di foraggio ogni giorno. Ognuno, ogni singolo giorno.

In questo quadro, un aspetto (parzialmente) confortante è che produrre la soia è molto meno gravoso dal punto di vista del terreno e dell’acqua che sono necessari rispetto a quelli richiesti per il latte di mucca oppure per la carne di manzo. Resta comunque il fatto, ribadito al quotidiano inglese The Guardian dal professor Joseph Poore del dipartimento di Zoologia dell’Università di Oxford, che “se siete preoccupati per le sorti dell’Amazzonia, la cosa migliore che potete fare è smettere di mangiare la carne”.

Il grafico Our World in Data indica in m² il terreno necessario per la produzione di 100g di proteine

Ma la soia è davvero pericolosa per la salute umana?

Questo punto è in qualche modo collegato al precedente, perché i timori sull’impatto ambientale delle coltivazioni di soia si sono trasferiti anche sui suoi (presunti) effetti negativi sul corpo umano. Il dubbio principale deriva dalla presenza in questo legume di alcuni fitoestrogeni, cioè ormoni di tipo vegetale che potrebbero interferire con l’attività della tiroide e pure avere effetti negativi sullo sviluppo degli organi sessuali e sulla fertilità. È vero? Lo è, ma nello stesso modo in cui è vero che la carne rossa lavorata è cancerogena, che bere solo vino rosso è pericoloso per la salute, che troppo cioccolato è dannoso. Insomma: se la propria alimentazione è basata solo sulla soia, sul tofu, sui burger a base di soia, se a colazione si beve solo latte di soia e non lo si alterna mai con altre bevande a base vegetale, allora è possibile che ci possa trovare ad affrontare questi problemi. Non fa bene l’eccesso, come per più o meno tutti i cibi.

Detto questo, bisogna anche dire che ci sono popolazioni, come quella cinese o quella giapponese, che consumano grandissime quantità di soia (e lo fanno da migliaia di anni) e non hanno sviluppato evidenti criticità a livello di organi riproduttivi o di fertilità, come già nel 2003 dimostrò uno studio commissionato dal ministero della Salute della Gran Bretagna.

One more thing: la questione del latte di mandorla

A proposito di altre bevande di derivazione vegetale, c’è da sfatare un altro mito, quello sul latte di mandorla, che si porta dietro un marchio di infamia simile a quello della soia: la coltivazione intensiva degli alberi consumerebbe tantissima acqua e anche farebbe morire di fatica le api, costrette dall’uomo a un impollinamento continuo e massivo ogni primavera. Di nuovo: è vero? Di nuovo: solo in parte. È vero negli Stati Uniti, dove (soprattutto in California) portano avanti da anni una super-produzione di mandorle, ma non è vero in altri Paesi del mondo, come in quelli europei, dove la coltivazione dei mandorli non è altrettanto accelerata. E comunque, anche nello scenario peggiore, il latte di mandorla e quello di soia hanno una “impronta inquinante” decisamente minore rispetto a quello vaccino. E quello d’avena minore ancora.

Immagine di apertura Getty

Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.

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