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Varata nel 2020, la normativa entra in vigore a ottobre, per la gioia dei produttori di carne. Ha però un grosso punto debole, cui può mettere una pezza solo l’Unione europea.
Per i francesi le parole sono importanti, si sa. Soprattutto le loro: in Francia non si dice computer ma ordinateur, non si usa doping ma si usa dopage, un video non è in timelapse ma hyperaccéléré. Lo stabilisce la legge. Anzi: lo stabiliscono una serie di leggi e di commissioni incaricate proprio (la prima volta nel 1965, da De Gaulle) di preservare e arricchire la lingua nazionale.
Allo stesso modo, una legge ha stabilito che non si potranno usare parole come bistecca, salsiccia o pancetta per le alternative vegetali che ne riproducono l’aspetto e il sapore: se non c’è carne, non si possono usare termini associati alla carne. La legge è stata varata nel 2020, entra in vigore il prossimo ottobre e dice esattamente così: “Non sarà possibile utilizzare una terminologia tradizionalmente associata a carne e pesce per designare prodotti che non appartengono al mondo animale e che, in sostanza, non sono comparabili”. Con un’eccezione: si potrà continuare a usare burger, che resta comunque l’alternativa vegetale più diffusa.
La Francia è il più grande produttore di carne rossa in Europa e secondo le autorità la nuove legge dovrebbe “evitare confusione nei consumatori”. Come è immaginabile, l’industria della carne, che anno dopo anno si vede rosicchiare fette di mercato dal cibo plant-based, ha accolto con favore questa decisione, descrivendola come “un passo importante verso la trasparenza delle informazioni”. Da qui è partito l’ennesimo appello all’Unione europea perché adotti un provvedimento simile.
Sul tema, l’UE ha politica non molto chiara, forse anche a causa delle spinte da più parti che riceve: da un lato ha cercato di regolamentare il settore del latte e dei formaggi, in parte limitando l’uso di queste parole per gli omologhi a base vegetale; dall’altro, ha deciso di non vietare l’uso di termini tradizionalmente associati alla carne per prodotti che di carne non ne contengono.
Una presa di posizione sovranazionale sarebbe importante, perché a oggi la legge francese ha un (grosso) punto debole: vale solo per i prodotti realizzati entro i confini nazionali. Quelli che arrivano da fuori, che sia dagli altri Paesi europei, dagli USA o dal Sudamerica, non dovranno rispettare le stesse regole. E dunque (per esempio) le Beyond Sausage potranno continuare a chiamarsi così: salsicce, anche se fatte di barbabietole e piselli.
È vero e lo sappiamo: la lotta sui nomi del cibo è importante, ma anche rischia di essere priva di significato e di non arrivare da nessuna parte. Per i produttori tradizionali è un po’ l’ultimo fronte, l’ultimo terreno di scontro, ma è difficile che possano averla vinta. Perché? Perché la lingua, che sia il francese, l’inglese, l’italiano, è ricca di sfaccettature, alternative, sinonimi e scappatoie. Esemplare, da questo punto di vista, il caso di una startup cilena che ha scelto di chiamarsi Compagnia del Non (il nome vero è NotCo) e di vendere NonLatte e NonMaionese, fatti con ingredienti vegetali, probabilmente anche per evitare scocciature e fastidi legali, visto che sui prodotti è scritto chiaramente che cosa non sono.
È un esempio che ha fatto scuola: nei supermercati italiani si iniziano a vedere le confezioni di latte d’avena con scritto (molto in grande) che Non è Latte e (molto in piccolo) che si tratta di una bevanda vegetale. È ovviamente una trovata di marketing, ma funziona: difficile indignarsi o fargli causa per scarsa chiarezza, perché sul cartone è scritto chiaramente che cos’è il prodotto e che cosa non è. Curiosità: a farli è proprio un’azienda francese.
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