Della storia e dei fasti del Birrificio Lambrate ne abbiamo
già parlato. Dicevamo perlappunto di questo florilegio di birre d'occasione, prototipi stagionali che paiono nascere per soddisfare l'estro del birraio e spezzare la routine più che per uno studiato progetto commerciale volto ad inseguire le mode del momento, a partire dalle famigerate
one shot. Birrificio/brewpub da sempre poco interessato a richiamare l'attenzione del mercato con schiamazzi e fuochi d'artificio, fondamentalmente fanno quello che gli pare. Certo, avere un paio di locali di smercio a Milano dal successo clamoroso e inossidabile aiuta.
L'ultima di questa scuderia sempre più numerosa è la Alegher, che celebra l'anniversario di un locale gemellato. Belgian Ale di 5% nata come tributo al luppolo, recita il medaglione. Alto e stretto, il boccale esalta la schiuma pannosa e abbondante. Il colore già ci racconta: non è quel paglierino scarico che ti aspetteresti da una Blonde leggera ed estiva, qua siamo su un dorato che tradisce qualche vena ramata, segno che la costruzione maltata poggia su basi più elaborate. La luppolatura c'è, è importante, ma dominano le note di resina, vigorose e monocromatiche. Il lievito, ineluttabilmente belga, viaggia su un piano sghembo e non spicca per eleganza: si compone sullo sciroppato, sull'albicocca disidratata, su forti note pepate e su una banana ancorché non irruenta, in un contesto dal peso specifico elevato. Corrispondente in bocca, dove il maltato tiene testa e vince sull'amaro importante in una lotta che finisce per affaticare il sorso. Proprio quello che non ti aspetteresti da una Ale belga di 5%: cerchi secchezza e beverinità, trovi un impegno sproporzionato per la cilindrata, che ti spinge a desistere. Resta una birra tecnicamente ineccepibile e priva di difetti, ma troppo ripido il sorso.
Impareggiabili nell'incarnare l'anima anglosassone, autori di alcune delle migliori reinterpretazioni italiane degli stili tedeschi, la tribù del Lambrate continua a non convincermi sul territorio belga.
