Cari amici di questa finestra sui rosati, che abbiamo, parlo del padrone di casa e deus ex machina del Cucchiaio, l’amico Stefano Caffarri ed il sottoscritto, aperto oltre due anni orsono, esattamente il 17 dicembre 2012, con un rosato salentino, finestra che spero vi abbia davvero aperto.. una finestra su un’altra idea del vino, sul vin en rosé, voglio proporvi un gioco. Voglio raccontarvi di un grandissimo rosato pugliese, e salentino, che conosco e amo da qualcosa come vent’anni, che ho assaggiato in anteprima, nella sua versione 2014, sul Lago di Garda.
Non vi siete sbagliati, non vi sto prendendo in giro, questo rosato salentino base Negroamaro (90%) più un 10% di Malvasia Nera Leccese 10%, uve coltivate col sistema tradizionale ad alberello nella zona più tipica del Salento e precisamente nei comuni di Tuglie, Sannicola, Alezio in provincia di Lecce, parlo del Mjere 2014 dell’azienda Michele Calò di Tuglie, (giusto due anni e due mesi fa scrissi dell’altro loro mirabile rosato, il Cerasa) l’ho potuto assaggiare in occasione di un evento speciale, l’Anteprima del Bardolino Chiaretto o Chiaretto tout cour, cui ho partecipato la scorsa settimana in quel di Lazise, sponda veronese del magnifico Lago di Garda.
Un anteprima dove oltre ad aver assaggiato qualcosa come una cinquantina di buoni, a volte ottimi, a volte superbi (ve ne parlerò presto), Bardolino Chiaretto, grazie alla brillante idea di un personaggio con il quale posso a volte “leticare” ma che rispetto, anche quando fa cose che non capisco (vero Angelo?) che ha pensato ad un gemellaggio in rosa con un’altra grandissima zona da rosati, proprio l’amato Salento, e con la vivace e intraprendente Associazione del Negroamaro De Gusto Salento che raggruppa la crème de la crème (oggi sono di buon umore e voglio essere buono buonissimo e mettere tutti gli aderenti sullo stesso piano….) dei rosatisti di quella terra meravigliosa che nel cor, notoriamente, mi sta.
Un gemellaggio nel nome dei rosati e del loro splendore, della loro meravigliosa piacevolezza ed eleganza (l’eleganza che rende unica e splendente la mia adorata Lei, che di rosati è conoscitrice e fan come pochi altri), e nel nome di un progetto, Chiaretto revolution, di cui per ora si sa poco, ma che dovrebbe generare mirabilie, così dicono al Consorzio del Bardolino. Pardon al Consorzio del Bardolino Chiaretto, come amano precisare.
E così, degustando rigorosamente alla cieca, splendidamente assistiti dai bravissimi sommelier AIS del Veneto, accanto a conferme, il “solito” Girofle di Severino Garofano, impeccabile ed esemplare, e ottime sorprese, ad esempio il Grecia di Paolo Leo, il Rohesia ed il “base” del vecchio amico Paolo Cantele, il Kreos di Castello Monaci ed il Corerosa di Cantine Due Palme, (tranquilli, ve li decanterò tutti), è saltata fuori (con conferma a tavola, quando l’ho proposto ai miei vicini a pranzo presso il classicissimo Ristorante Taverna da Oreste, vanto ristorantizio di Lazise), la grandezza, lo splendore, la misura, la piacevolezza assoluta del Mjere di Michele Calò.
Un‘azienda di cui scrivo benissimo, e come potrei fare altrimenti?, da illo tempore, come dimostrano una serie di articoli, che potete leggere qui, qui, qui e poi ancora qui. E senza che mi faccia in alcun modo l’antica conoscenza e l’amicizia (che io considero ancora tale), per i fratelli Giovanni e Fernando Calò.
Inutile che vi racconti ancora qui, tutti i dati utili li trovate negli articoli citati, la storia di quest’azienda che lo scorso anno ha celebrato il sessantesimo di un’attività tutta dedicata al vino di qualità. Al vino vero, al vino identitario pugliese e salentino. Al vino pugliese che ha radici profonde nella terra e che è sintesi del connubio di terra, uomini e cielo…
Come ho scritto e come amo ripetere, per me l’Alezio Rosato Mjere (dal latino Merum, ovvero vino vero), è uno di quei rosati da “bordo piscina” come amo definirli, o “bordo lago di Garda”, che basta aprirli per “seccarli” subito a tavola, per stappare una bottigliea finirne per berne due, abbinati a qualsiasi cosa, tanto va bene su tutto a prescindere.
Un vino, mi ripeto, che ha fatto capire ai gardesani chiarettisti e farebbe capire anche ai francesi, che come diceva Paolo Conte “s’incazzano” e non solo ad essere sconfitti da Bartali, come anche in Italia si possano produrre rosé di livello internazionale. Senza complessi di inferiorità verso nessuno.
Un rosato 2014, pura espressione salentina, figlio della virilità del Negroamaro ammorbidita e ingentilita dalla dolcezza della Malvasia nera salentina, spettacolare e spettacoloso, che, inutile nasconderlo “a me mi piace”. E mi piace assai.
Le mie note di degustazione così lo descrivono: colore corallo brillante luminoso, con sfumature da alba salentina, naso pieno, vivo, succoso, con note di erbe aromatiche, liquirizia, ciliegia, accenni di lamponi in evidenza, a formare un bouquet spettacoloso per eleganza e forza d’impatto.
E poi densità, profondità e grassezza in bocca, viva, succosa, con bella polpa e articolazione. Un rosato che ha carne sale, freschezza ampio sviluppo, bellissima materia ricca e terrosa, con un equilibrio, una piacevolezza (la mia Lei, che lo conosce molto bene, vero Giovanni?, lo adora letteralmente) che lasciano senza parole.
Perché viene dal cuore vivo del Salento, è “lacrima” e sangue del Negroamaro e della Malvasia allevate con la forma storica e sacra dell’alberello salentino, perché è vero, come l’amicizia e come l’amore…