Quando alle fiere del vino i produttori andavano in giacca e Paco Rabanne a parlare di barrique, estratti ed enologi consulenti, Federico Pignati si presentava con la sua barba, caotica e ventosa, sopra la camicia a scacchi, con le maniche arrotolate e le mani corazzate di calli. I pochi minuti spesi a parlare li dedicava alle forme di allevamento della vite, la digeribilità dei vini, la sostenibilità ambientale, e il progetto di vita suo e dei suoi amici soci rifugiati in un casolare nella campagna di Offida a fare vino naturale.
Aurora era a conduzione bio quando i marines ancora usavano il napalm.
E quando i grandi imprenditori nazionali si convinsero di investire in campagna delle mezze manovre economiche per fare bottiglie da premio, Federico e i suoi amici vivevano in una specie di Comune, si interessavano al pecorino (che si chiama Fiobbo, ed è uno dei migliori), infischiandosene di tutti quelli che stavano ad annusare la vaniglia nello sciardonné.
Il Barricadiero (per quanto mi riguarda il nome glielo ho sempre perdonato), meno noto del Fiobbo, è da sempre uno dei maggiori e costanti rossi del Piceno.
Questa versione 2010 straconvince: complice una acidità volatile estremamente misurata, che sostiene i profumi senza coprirli, e che soprattutto dona slancio al palato – caratteristica quest’ultima che non costituisce esattamente l’asso nella manica dei rossi di zona – senza irrigidirlo, sembra una delle annate più comunicative di sempre.
Alternato ai profumi tra note di prugna, cassis, ginepro e coriandolo, più speziato al palato, con una nota di curry in evidenza, e con un tannino che non asciuga mai. Molto compatto ed estrattivo, come tutti i rossi XXL del Piceno. Concedetegli qualche minuto per mettersi a fuoco.
Neanche 20 €.