Il pin

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INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

Non è il piatto più buono del mondo: non so nemmeno se è un piatto. Di certo non è un companatico: diciamo piuttosto viveri di sussistenza.
Negli anni sessanta la campagna reggiana stava ancora tentando di riprendersi dagli anni di ferro e fame: quelli della polenta con una saracca in dieci, per dire, in cui intingere solo la propria fetta ma una volta sola per non passare per ingordi.
Negli anni sessanta si arricchiva ancora il brodo - che in realtà era assai più ricco di quello attuale, pieno com'era di carni marezzate - con una sorta di polpettone fatto di uova, pangrattato, formaggio e qualche spezia per insaporire. Soprattutto aglio, prezzemolo e noce moscata.
Più avanti è diventato piatto della memoria, e poi way-out per il lesso avanzato: che negli anni dell'abbondanza ve n'era sempre di troppo. Ai bimbi poi piaceva gnè gnè, e il "pin" era una bella idea. Allora, si sa, tutte le donne della famiglia avevano un incubo: "Hai mangiato abbastanza?" con i bimbi del Biafra che incombevano su ogni piatto non adeguatamente spazzolato, regalandoci inobliabili obesità.
In questo caso c'è d'avanzo il lesso natalizio, manzo e cappone: da frullare tutto assieme e da impastare con due uova intere, pangrattato, formaggio. Importante che giri forte il prezzemolo con poco aglio e che tutto si amalgami in un impasto scarsamente appiccichevole. Otterrai un cilindretto da arrotolare nella carta stagna, avendo cura di bucherellarla.
Cuoci nell'acqua salata per mezz'ora, quaranta minuti, e manda in tavola con una bella giardiniera. E un bicchiere di Valpolicella Ripasso per contrapasso, magari lo spettacolare La Casetta dei Domini Veneti.
NB: "pin" si dovrebbe tradurre "pieno", che per trasposizione fa "ripieno". Però non è proprio esatto...
 

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