Spaghetti cacio e pepe rivisitati

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INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

Ci sono alcune preparazioni che dividono il popolo come Mosè fece con i flutti del Mar Rosso: mi ricordo una paurosa tenzone che aveva ad oggetto la ricetta del pesto alla genovese pubblicata in un certo libro di Allan Bay. S'azzuffavano gagliardamente a miriadi per l'ultima virgola di aderenza alla verità filologica. Il noto gastronomo per la verità l'aveva fatta grossa: in quel libro raccoglieva centinaia di ricette tradizionali e tradizionalissime, con il piglio enciclopedico della collezione definitiva, esponendosi alle reprimende dei Guardiani della Verissima Verità.
Altrove vidi legioni l'un contro l'altra armate per la versione ultimativa della pasta cacio e pepe: lo chef della più famosa trattoria romana, i cui tonnarelli fatti a quella moda pare facciano resuscitare anche i re Etruschi, si era macchiato di un crimine efferato. Aveva aggiunto olio agli ingredienti base.
Qui ne faccio di cotte e di crude: per cui dichiaro senza tema di smentita che questa NON è la veridica ricetta della cacio e pepe. C'è il P.Reggiano, ci sono tre tipi di pepe, c'è l'amido addensante, e - ahimè - c'è l'olio. Per cui i sacerdoti della purezza si rilassino, anche per questa volta il Verbo è al riparo da ogni corruzione.
Per questo piatto ho a disposizione uno dei formati di pasta più sofisticati in assoluto: parlo dello spaghettone trafilato oro del pastifizio abruzzese Verrigni. Già la linea "normale" estrude pasta ai massimi livelli, seppur con esiti variabili a seconda dei formati: questa trafila si spinge ad usare l'oro, che pare abbia proprietà tali da rendere il gel particolarmente poroso.
In attesa di poter fare una degustazione comparata delle migliori referenze d'Italia, e quindi d'Europa, e quindi del mondo, di questa devi sapere che è veramente eccellente, e che porta ai limiti le caratteristiche organolettiche del prodotto Verrignese: grandissima masticabilità, polposità carnosa, adesività al sugo, sapore delicato ma nitido. Accompagnato da questa salsa semplicissima trova espressione di rara acchiappanza.
Nella casseruolina metti due cucchiaini rasi di maizena, già diluiti energicamente in poco latte. Aggiungi un cucchiaio d'olio e fai scaldare, mescolando. Quando inizia a rapprendersi, aggiungi latte e sale. Dovrà cuocere 10/15 minuti: poi potrai prelevare dal fuoco, addizionare con la copiosa dose di P.Reggiano grattuggiato e rimettere al fuoco.
La salsa non deve risultare troppo densa e dev'essere priva di grumi: se necessario quindi puoi spazzolare con il minipimer, ottenendo così una bella vellutata. Un mestolo d'acqua di cottura - che nel frattempo hai messo a scaldare - alleggerisce ulteriormente.
Cuoci gli spaghetti solo per metà: prelevali dall'acqua di cottura e immettili in una padella grande, assieme alla salsa. Li finirai a fiamma reboante, allungando come fai con il risotto. Due momenti delicati: il primo, che la pasta ha un momento ideale di cottura molto preciso, circa un minuto prima del dente perfetto. In questo modo infatti continuerà a cuocere e perverrà a durezza perfetta già composta nel piatto. Il secondo, che lo spaghettoro tira tantissima acqua, e se non vuoi che ti resti un monticchio di pasta collosa devi tenere molto all'onda.
Impagina aiutandoti con un forchettone e un mestolo grande: irrora con la salsa che rimane sul fondo della padella. Spolverizza con il misto dei tre pepi: rosa, verde e nero di Sarawak che avrai pestato al momento.
Manda in tavola con un bianco ruvido ed al contempo soave come il "Pico" di Angiolino Maulè, IGT Monte di Mezzo da uve Garganega macerate.

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