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Da 30 anni il cibo non è mai costato così tanto: a marzo prezzi su del 12,6%

pubblicata il 11.04.2022

Impennata del Food Price Index dell’ONU, cresciuto del 33,6% sul 2021 a livello mondiale: ecco che cosa è aumentato e di quanto. E perché l’olio di palma potrebbe essere il nuovo bene rifugio

Stanno aumentando i prezzi di tutto quello che mangiamo, ce ne siamo resi conto: le materie prime costano di più, produrre costa di più, i materiali per imballaggi e confezioni costano di più. È così più o meno dall’autunno del 2021 e lo sappiamo. Quello che non sapevamo è che non solo il cibo costa di più, ma anche non è mai costato così tanto. Inteso come mai nella storia (cioè da quando si fanno le rilevazioni, iniziate nel 1990).

A dirlo è la FAO, il braccio alimentare dell’ONU, che a inizio aprile ha aggiornato il suo Food Price Index, appunto l’indice dei prezzi del cibo: a marzo (il mese delle ultime rilevazioni) la crescita è stata del 12,6% rispetto a febbraio, che già era stato un mese da record; l’incremento anno su anno, cioè rispetto a marzo 2021, è del 33,6%.

Come funziona il Food Price Index

L’indice dei prezzi della FAO funziona un po’ come quello dell’Istat: viene preso in considerazione un paniere di beni, il cui costo è stato monitorato mese per mese negli ultimi 30 anni. La differenza, rispetto a quello usato dall’Istat per misurare l’inflazione, è che non viene considerato solo il prezzo finale dei beni, ma pure quello delle materie prime che servono per produrli.

Per questo, il Food Price Index (che a marzo è arrivato a 159,3 punti) è scomposto in 5 sottoindici: Cereal, Vegetable Oil, Dairy, Meat e Sugar Price Index. Cioè: indice dei prezzi di cereali, olio, latticini, carne e zucchero. Che sono tutti in salita, poco sorprendentemente.

A marzo, il Cereal Price Index è cresciuto del 17,1% rispetto a febbraio, trainato dai forti aumenti dei prezzi di grano e cereali causati dalla guerra: negli ultimi 3 anni, Russia e Ucraina hanno rappresentato rispettivamente circa il 30% e circa il 20% delle esportazioni mondiali di grano e mais, e il conflitto ha portato i prezzi di queste materie prime alle stelle. A complicare le cose, come su Cucchiaio abbiamo già spiegato, la scarsità dei raccolti in Canada e negli Stati Uniti. In decisa crescita (+23,2% su febbraio) anche il Vegetable Oil Price Index, soprattutto a causa delle quotazioni più alte dell'olio di semi di girasole, di cui l'Ucraina è il principale esportatore al mondo. Il problema è che questo ha fatto salire i prezzi anche di olio di palma, di soia e di colza: la domanda del primo sta salendo molto, perché è considerato un valida alternativa per sostituire il (sinora) più costoso olio di semi di girasole; e i secondi potrebbero presto scarseggiare, perché ci sono forti timori che il Sud America possa ridurne le esportazioni per tenerseli per sé.

Infine: il Dairy Price Index è aumentato del 2,6% (+23,6% sul 2021), secondo la FAO a causa di un’impennata della domanda di importazioni di latticini dai mercati asiatici; il Meat Price Index è cresciuto del 4,8% (toccando il suo massimo storico) soprattutto a causa dell’incremento dei prezzi della carne di maiale; e il Sugar Price Index è salito del 6,7% (+20% sul 2021).

Prodotti finiti                       Aumento

Burro                                     + 11% Carne                                    + 3% Farina                                    + 9% Frutta fresca                         + 7% Olio di girasole e altri          + 19% Pane                                      + 5% Pasta                                     + 12%     Pesce fresco                         + 6% Verdura fresca                     +17%

(fonte: Coldiretti.it, dati di febbraio 2022)

Materie prime                      Aumento

Cereali                                    + 40% Frumento                               + 80% Mais                                        + 70% Soia                                         + 30%

(fonte: Federalimentare, 2021 su 2020)

Gli effetti della guerra sul futuro

Aggiornando il Price Index, la FAO ha anche aggiornato le sue previsioni per la produzione mondiale di grano nel 2022, che dovrebbe attestarsi intorno alle 784 milioni di tonnellate, in crescita dell'1,1% rispetto al 2021. È una (piccola) buona notizia, ma condizionata: le stime si basano sul fatto che circa il 20% della superficie coltivata dell’Ucraina non generi raccolti, banalmente a causa della devastazione provocata dalla guerra. Ma se questa percentuale dovesse salire ancora, allora la produzione di grano si abbasserebbe ancora.

E questa decisamente non sarebbe una cosa buona: lo scorso ottobre, Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare, ci disse che “dobbiamo sperare che il raccolto del 2022 sia buono o comunque non minore rispetto a questo”, perché altrimenti le scorte di cibo, soprattutto in certe aree del mondo, inizieranno davvero a scarseggiare. Quindi speriamo che non accada, anche perché di vie d’uscita, da questa crisi, non ce ne sono molte altre.

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