Attualità

Russia verso lo stop alle importazioni. A rischio olio, vino e pasta italiani

pubblicata il 15.03.2022

Putin sarebbe pronto a vietare l’acquisto dei prodotti che arrivano dai Paesi ritenuti ostili: per l’Italia significa rinunciare a un mercato da 670 milioni di euro l’anno. In un periodo di già grande difficoltà per le nostre imprese

La guerra fra Russia e Ucraina è una continua escalation: non solo dal punto di vista militare, ma anche lontano da dove si combatte. Anche sul piano economico, dove da settimane va in scena una sorta di braccio di ferro fra l’Occidente e il Paese di Putin.

Da questo punto di vista, la mossa più recente di Mosca riguarda il possibile stop delle importazioni dai Paesi ritenuti ostili, ed è una mossa che toccherà molto da vicino l’Italia, esattamente come accadde nel 2014 con il blocco di una lunga lista di prodotti stranieri in risposta alle sanzioni per l’annessione della Crimea. Il presidente Putin ha già firmato un decreto, che aspetta solo di essere messo in pratica, che nelle intenzioni rappresenta una reazione “rapida” e “ponderata” alle recenti sanzioni e che “sarà avvertita” nelle aree più “sensibili per coloro a cui si rivolge”. Per il nostro Paese, queste “aree sensibili” sono quelle di alcuni simboli del made in Italy, i cui produttori si troveranno tagliati fuori da un mercato assai redditizio. 
Di recente, Coldiretti ha ricordato che l’anno scorso in Russia sono stati venduti 670 milioni di euro di vino, pasta e olio italiani (esclusi dall’embargo del 2014), con una crescita del 14% rispetto al 2020 e appunto che fra i beni alimentari più venduti là ci sono “il vino e gli spumanti, per un valore attorno ai 150 milioni di euro, il caffè per 80 milioni di euro, l’olio di oliva per 32 milioni di euro e la pasta per 27 milioni di euro”. Ancora: l’Italia è il primo Paese fornitore di vino in Russia, con una quota di mercato di circa il 30%, davanti a Francia e Spagna, e ha registrato nel 2021 un’impennata della domanda di spumanti e di vini toscani, siciliani, piemontesi e veneti.
Adesso il rischio è che tutti questi prodotti vadano ad aggiungersi all’elenco di quelli vietati con l’embargo del 2014, cioè carne, pesce, frutta, verdura e formaggi, compresi Parmigiano Reggiano, Grana Padano, prosciutto di Parma e San Daniele.
Gli altri provvedimenti contro i Paesi ostili Per la Russia, i Paesi nemici sono quelli inclusi in una lista stilata durante la prima settimana di marzo: comprende gli Stati Uniti, il Giappone e il Regno Unito e gli Stati dell’Unione europea, cioè praticamente tutti quelli che hanno sostenuto le sanzioni contro Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina.
I Paesi di questa lista sono quelli contro cui la Russia potrebbe prendere provvedimenti amministrativi e anche economici: i cittadini di quegli Stati potrebbero vedersi ritirati i visti d’ingresso (cosa che renderebbe la loro presenza illegale sul territorio russo) e appunto Mosca potrebbe decidere di bloccare esportazioni e importazioni verso e da quei Paesi.
Come su Cucchiaio avevamo anticipato, la Russia ha già bloccato parte delle sue esportazioni all’estero di mais, frumento e zucchero e starebbe pensando di fare altrettanto verso l’Unione europea: secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Interfax, la vicepremier Victoria Abramchenko avrebbe approvato “gli atti introdotti dal ministero del Commercio per vietare l'esportazione di zucchero bianco e grezzo dalla Federazione Russa fino al 31 agosto, così come quella di grano, segale, orzo e mais fino al prossimo 30 giugno”.
Comprare italiano, almeno in Italia Per il nostro Paese, al danno si aggiunge la beffa: in Russia circolano già da tempo tantissime imitazioni del made in Italy, come il famigerato parmesan, il mascarpone e la ricotta prodotti in Bielorussia, il salame Milano che non è salame Milano, la gorgonzola svizzera e pure il regianito brasiliano o argentino, che così si troveranno campo libero, essendo gli originali tagliati fuori.
Di più ancora: se anche il blocco alle importazioni non dovesse concretizzarsi a questi livelli, la Russia ha già fatto sapere di essere intenzionata a pagare i fornitori non nella loro valuta o nella valuta concordata nei contratti, ma in rubli, il cui valore è crollato già di oltre il 45%.
Nell’attesa (e nella speranza) che la diplomazia faccia il suo corso e che questa difficile situazione si risolva, l’unico modo che abbiamo noi consumatori per aiutare le imprese italiane è lo stesso che avevamo fra fine 2020 e inizio 2021, quando erano in difficoltà a causa della pandemia e dei lockdown: possiamo provare a sostenerle comprando italiano. Spendere eventualmente anche qualche euro in più, ma considerarlo come una sorta di investimento per il futuro.

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