Perché gli europei digeriscono il latte anche da adulti?
Il gene che ci permette di digerire il lattosio si "spegne" nell’infanzia, ma in Europa è diffusa una mutazione che lo mantiene attivo nell'età adulta. Fino a oggi si è pensato che abbiamo cominciato a bere il latte da adulti grazie all’arrivo di questa mutazione, ma un nuovo studio rimescola le carte.
Gli esseri umani sono l’unica specie dove una parte consistente degli individui può digerire il latte dopo l’infanzia. Questa capacità riguarda circa un terzo della popolazione mondiale, ed è particolarmente diffusa in Europa. Il merito è di una mutazione che mantiene attivo il gene della lattasi, l’enzima che digerisce lo zucchero contenuto nel latte (lattosio). Questo gene, infatti, tenderebbe a “spegnersi” dopo lo svezzamento, come negli altri mammiferi. Ma che cosa, nel nostro passato, ci ha fatto diventare bevitori di latte? Pensavamo di saperlo, ma a fine luglio 2022 è uscito su Nature un importante studio che rimette tutto in discussione.
La teoria, fino a oggi
Nei libri di scuola la persistenza della lattasi tra gli adulti è un esempio classico di evoluzione. Una mutazione casuale ha permesso di sfruttare una risorsa prima inaccessibile, il latte, quindi si trattava di una mutazione molto vantaggiosa. Talmente vantaggiosa che in alcune popolazioni è diventata la norma, grazie al filtro della selezione naturale. Gli individui che digerivano il latte erano avvantaggiati e si riproducevano di più. E più la mutazione si diffondeva, più gli esseri umani diventavano bravi a usare il latte dei loro animali per realizzare cibi. Ma questo modello sembra crollare di fronte ai dati raccolti da oltre un centinaio di autori (archeologi, genetisti, chimici ed epidemiologi) coordinati dall’University of Bristol e dall’University College London.
L’uso del latte precede, e di molto, l’abilità di digerirlo
In Europa si usava il latte già 9000 anni fa, dicono i dati archeologici. Eppure, analizzando il DNA di oltre 1700 persone vissute nelle ultime migliaia di anni, ora sappiamo che la mutazione apparve solo 5000 anni fa, e che divenne comune solo intorno al 1000 a.C. Questo significa che per millenni abbiamo consumato latte anche se quasi nessuno lo poteva digerire: non è quindi più sostenibile affermare che una mutazione genetica ci abbia trasformato in casari. L’archeologia ci dice anche che l’uso del latte è aumentato e diminuito nel tempo in regioni diverse, ma questo andamento sembra scollegato dalla diffusione della mutazione.
Una nuova teoria
Secondo gli autori questi dati suggeriscono una storia alternativa a quella che conosciamo. La selezione naturale non premia granché l’abilità di digerire il latte, almeno in condizioni normali (dopotutto, ⅔ degli esseri umani ne fa a meno). Quando le persone sono in salute, chi non digerisce il latte non muore se per caso lo consuma, e chi invece lo digerisce non ha più probabilità di sopravvivere degli altri. Ma le cose cambiano in tempi difficili, cioè quando colpiscono le epidemie e le carestie, che non erano rare nell’antichità, specialmente quando gli insediamenti cominciarono a diventare più grandi. In questi periodi di crisi l’abilità di digerire una delle risorse disponibili diventava realmente questione di vita di o di morte. Il latte era probabilmente uno dei pochi cibi utilizzabili se, per esempio, il raccolto andava male. Chi beveva latte senza problemi poteva sperare di superarli, gli altri invece no, perché per una persona malnutrita o malata i sintomi dell’intolleranza al lattosio (per esempio la diarrea) possono essere fatali. Secondo i modelli usati dai ricercatori questo spiega la diffusione della mutazione molto meglio che un lento adattamento al consumo di latte.
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