Attualità

Il club dei cereali

pubblicata il 21.11.2012

Per tutta una serie di ragioni storiche e culturali siamo abituati a pensare al frumento come l'unico cereale possibile. Raffinato, magari. Ma il mondo dei cereali è molto più variegato di quanto lo si immagini, e spesso ricco di sorprese, soprattutto quando andiamo ad affrontare gradi di raffinazione diversa. Se andiamo ad analizzare da vicino un seme - che in termini tecnici viene detto cariosside - scopriremo infatti che è formato delle glumelle, dei piccoli tegumenti di copertura, che vanno a proteggere il luogo dove si accumulano le proteine, l'amido e il germe, ossia l'endosperma. Non tutto è commesitibile, quindi la prima operazione che viene fatta è quella dell'eliminazione attraverso la decorticatura delle glumelle da alcuni cereali, come il farro, l'orzo, l'avena, il miglio o il quasi cereale grano saraceno. Successivamente alcuni di essi, come l'orzo, vengono perlati: la procedura consiste nella rimozione della parte più esterna del chicco, più ricca di fibre e quindi più lenta da cucinare. Se si vuole far farina segue la molitura e la raffinazione vera e propria, che dipende dal prodotto finale che si vuole ottenere. La destinazione del seme comunque non è solo la farina, ma può essere anche consumato tal quale in diverse preparazioni, dal dolce al salato. I cereali sono la croce e la delizia dell'umanità da secoli. Spesso demonizzati e ridotti al minimo dai dietologi, sono stati molto importanti per l'evoluzione, tanto da spingere l'uomo a cambiare le proprie abitudini e diventare stanziale. Insieme ad altri prodotti, ovvio. E se frumento, riso e mais ormai la fanno da padroni a livello mondiale, è un peccato dimenticarsi di tutti i loro parenti. Altrettanto antico del frumento pare essere l'orzo, il cosiddetto Hordeum vulgare. Questa specie deriva dalla selezione della specie selvatica Hordeum spontaneum, e un tempo era molto diffuso soprattutto nelle regioni del nord. Il suo ciclo vitale molto breve, la scarsa esigenza d'acqua e la sua resistenza alla salinità, ne consentivano e ne consentono la coltivazione in una grande varietà di condizioni climatiche, anche le più fredde. Fino al XV secolo veniva molto utilizzato per la panificazione, ma tutti lo conosceranno perché è l'ingrediente fondamentale per la produzione di birra e di whisky. Entra in zuppe, creme, crostate, oppure per la sua grande tenuta in cottura, viene utilizzato al posto del riso per preparare gli orzotti. Il farro era l'elemento di base della dieta dei Romani, ma venne lentamente abbandonato a favore di altri cereali più prouttivi. Farro è il nome generico che usiamo per indicare tre diverse specie del genere Triticum: il farro piccolo (Triticum monococcum), il farro medio (Triticum dicoccum) e il farro grande (Triticum spelta), quest'ultimo più recente. In Italia viene coltivato soprattutto in aree marginali, o dove la qualità del prodotto l'hanno reso un vanto locale. È il caso della Garfagnana, dove ha ricevuto anche l'IGP, e l'area fra l'Umbria e il Reatino. Anche lui resiste bene alle temperature rigide e non ha grandi esigenze di fertilità del terreno. In cucina viene utilizzato nuovamente in zuppe o come sostituto del riso. Spezzato serve per budini, sformati, polpettoni. La farina produce un ottimo pane, e una pasta dal gusto intenso, soprattutto se integrale o semintegrale. L'avena la ritroviamo facilmente in natura come infestante, nella forma dell'Avena fatua. A livello agronomico vengono invece coltivate due specie: l'Avena sativa e l'Avena byzantina. Si distinguono per il colore della cariosside, bianca nel primo caso, rossa nel secondo. È stata per secoli coltivata per l'allevamento dei cavalli, per fare la biada, ed ha seguito lo stesso destino dell'allevamento stesso, riducendosi progressivamente nel tempo. È diffusa soprattutto nelle regioni settentrionali dell'europa per la sua tolleranza ai ristagni idrici e ai terreni acidi. È l'ingrediente fondamentale del porridge inglese, in fiocchi entra nel pane e nel muesli, come farina in diverse preparazioni per l'alimentazione dei neonati. Un brevissimo cenno anche alla segale (Secale cereale), cereale minore ormai relegato a poche migliaia di ettari in Italia. È un gusto molto comune per chi frequenta l'Alto Adige: dalla sua farina, mescolata a quella di frumento, si ottiene un pane caratteristico e molto particolare. Uno di quei gusti che identificano in maniera indelebile la provenienza di un prodotto. Terminiamo questa incompleta carrellata - torneremo a parlare del Kamut - con il Fagopyrum esculentum, ovvero il grano saraceno. È l'unico di quelli che abbiamo visto finora a non essere una graminacea. Appartiene infatti alla famiglia delle poligonacee. Deve il suo nome latino al fatto che i semi, in piccolo, assomigliano a quelli del faggio (fagus), ma allo stesso tempo ricorda il frumento, in greco piros. Viene dal nord il grano saraceno, forse dalla Siberia, più probabilmente dalla zona dell'Himalaya. In cucina è indimenticabile in alcune preparazioni lombarde, come la polenta taragna o i pizzoccheri. Commercialmente viene collocato fra i cereali, anche se scientificamente tale collocazione pare essere impropria, vista la sua appartenenza a una famiglia diversa da quella delle graminacee. Ma è buono, ed è quello che per noi conta di più. Immagine hovogliadichiacchiere  

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