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La guerra e il carrello della spesa: dal burro alle pere, che cosa è aumentato e di quanto

pubblicata il 21.07.2022

Basta entrare in qualsiasi negozio di alimentari o in un supermercato per rendersi conto dei rincari, che ormai riguardano più o meno tutto. E da settembre la situazione potrebbe peggiorare ancora

Prima la pandemia, che ha complicato e reso più costose le spedizioni degli alimenti da un capo all’altro del mondo. Poi l’aumento dei costi dell’energia, che hanno fatto schizzare verso l’alto i costi di produzione del cibo. Poi la guerra in Ucraina, che ha reso tutto ancora più difficile e ostacolato l'approvvigionamento di alcune materie prime. Infine la siccità e l’emergenza climatica, che anche in Italia potrebbero ridurre la disponibilità di cereali, frutta e verdura. 

Da ormai quasi un anno si parla del fatto che produrre cibo è diventato sempre più complicato e sempre più costoso, con aumenti per le aziende nell’ordine del 10-20-30% e anche oltre, molto oltre. Ma per noi consumatori che cosa succede? Come si traduce tutto questo per noi, quando andiamo a fare la spesa nel negozio sotto casa o in un supermercato? Sinora, molta parte di questi aumenti sono stati in qualche modo assorbiti alla fonte, sia perché le aziende producevano con le scorte che avevano in magazzino (dunque acquistate prima dei rincari) sia perché la grande distribuzione ha evitato di riversarli tutti sul cliente finale, probabilmente anche per evitare un crollo della domanda.

Ma da qualche tempo non è più così, e basta entrare in qualsiasi negozio di alimentari per rendersi conto degli aumenti, che (come si poteva immaginare) riguardano più o meno tutto. Per non parlare dei cibi che iniziano a scarseggiare, o che presto potrebbero iniziare a scarseggiare.

Il dettaglio dei prezzi: che cosa è aumentato e di quanto

Per cercare di capire che cosa sta succedendo (e che cosa potrebbe succedere), ci siamo affidati all’Unione nazionale Consumatori, che da tempo pubblica mensilmente il report dell’andamento dei prezzi al consumo, e abbiamo fatto due chiacchiere con Carlo Alberto Buttarelli, direttore dell’Ufficio Studi di Federdistribuzione.

Iniziamo dai numeri, aggiornati all’inizio di luglio: su Consumatori.it si legge che fra i prodotti alimentari, il record dei rialzi annui spetta (ancora) all’olio, inteso come non quello di oliva, salito (ancora) del 68,7% rispetto a un anno fa; al secondo posto c’è il burro (+28,1%) e al terzo la pasta, fresca e secca (+22,6%). Nella top ten ci sono anche farina (+20,6%), pomodori (+19,4% anno su anno), pesche (+18,4%), margarina (+17,3%), pere (+17,2%), meloni e cocomeri (+16,1%) e pollame (+15,1%), di gran lunga la carne che ha subìto i rincari più elevati. Allargando lo sguardo alle successive 10 posizioni, impossibile non notare gli aumenti delle arance (+15%), del riso (+13,6%, la colpa è della siccità) e del pane confezionato (+13,3%), mentre appena fuori dai primi 20 iniziano a fare capolino la verdura e la frutta fresca (rispettivamente, +11,7% e +10,8%).

Un paio di dettagli su cui concentrarsi, in questo mare di cifre: l’olio non è solo il prodotto più rincarato fra quelli alimentari, ma pure il quarto in generale in Italia, considerate tutte le categorie merceologiche; allo stesso modo, la pasta è sia terza fra gli alimentari sia 16esima fra tutti i beni del paniere Istat utilizzato per calcolare l’inflazione. Inoltre, c’è da considerare che questi aumenti sono solo gli ultimi di una lunga serie di aumenti: il mese scorso, l’olio (non di oliva, sia chiaro) era già aumentato di oltre il 70% rispetto a un anno fa, il burro di più del 23% e pomodori, pasta e pere (che hanno già i loro problemi a causa del cambiamento climatico) di oltre il 20% ognuna.

La top ten degli aumenti dei prezzi nel carrello

Olio di semi (girasole, mais) +69% Burro +28% Pasta +23% Farina +21% Pomodori +19% Pesche +19% Margarina +17% Pere +17% Carne di pollo +15% Riso +14% media dei prezzi alimentari +9%

Fonte: elaborazione Coldiretti su dati Istat a giugno 2022 rispetto a giugno 2021

L’incredibile caso del burro

La questione del burro è francamente impressionante: a maggio aveva superato la soglia (psicologica ma non solo) del 100% di aumento in meno di un anno, dai poco meno di 3,5 euro al kg di gennaio 2022 ai quasi 7 di maggio. Per noi, il suo prezzo è praticamente raddoppiato. E continua a crescere.

Perché è successo? Per tutte le ragioni citate all’inizio, che vanno tutte a colpire la filiera in punti diversi: i costi dei materiali e dell’energia usati durante la lavorazione, così come quelli di fertilizzanti e foraggio (che arrivano anche dall’Ucraina), sono più che triplicati, lo stagno di oltre il 96,%, il gas naturale di quasi il 350%, il petrolio di più del 90%, grano e mais del 71 e del 48%. E poi ovviamente il latte: all’ingrosso, un litro costa intorno ai 50 centesimi, mentre un anno fa non arrivava a 40. I produttori di burro sono quelli che si definiscono trasformatori e si trovano in fondo a questa catena di rincari, tanto che molti hanno deciso di interrompere (o sospendere) la produzione perché facevano fatica a far quadrare i conti: “Finora non abbiamo trasferito tutti questi aumenti alla grande distribuzione e la grande distribuzione non li ha trasferiti al consumatore - ha spiegato Paolo Zanetti, presidente di Assolatte, a Sky - Però ora è necessario farlo, magari non in percentuali così alte, altrimenti le aziende non sopravvivono e chiudono”.

Cosa che in effetti sta già succedendo, perché da maggio a oggi il prezzo del burro è cresciuto ancora: sul mercato europeo, un chilogrammo costa al produttore circa 7 euro, cosa che per noi consumatori si traduce in un prezzo finale che sfiora i 10 euro/kg.

La previsione: il peggio arriverà a settembre

Una cosa che invece non sta succedendo, con rare eccezioni (come l’acqua in bottiglia), è che ci sia una qualche carenza nella disponibilità dei prodotti, come magari si sarebbe potuto immaginare: da Federdistribuzione, Buttarelli ci ha confermato che “per ora non abbiamo problemi di quantità o di approvvigionamento”, anticipando però che “le criticità non sono superate”.

E anche che “c’è un grosso problema di prezzi”, destinato molto probabilmente a peggiorare. Per spiegarci perché, il nostro esperto ha usato un paio di esempi. Intanto, “c’è il caso dell’olio di girasole, già aumentato del 70-80% (come raccontammo lo scorso aprile, ndr) e che aumenterà ancora”. Come mai? Perché molto arriva dall’Ucraina: a causa della guerra, non solo le merci faticano a uscire, ma anche i campi non possono essere coltivati e i raccolti non possono essere raccolti. Secondo Buttarelli, “in pochi mesi si vedranno le conseguenze di questo sui prodotti che fanno uso dell’olio di semi (che sono tanti e anche da forno, ndr), che diventerà talmente costoso da dover essere sostituito con altro”. Con l’olio di palma, per esempio. 

Poi, la questione dell’inflazione nuda e cruda: oggi in Italia è intorno all’8% (che non è poco), ma secondo molti analisti è probabilmente un valore sottostimato. Da Federdistribuzione ci hanno chiarito che “c’è un’inflazione all’acquisto, cioè l’aumento pagato dai negozi ai produttori, e un’inflazione alla vendita, cioè l’aumento pagato dai consumatori” e che “c’è stato un ritardo nell’allineamento di una con l’altra, anche per evitare che i clienti vedessero continui aumenti di settimana in settimana”. Come si diceva all’inizio, i rincari sono stati in parte assorbiti dalla grande distribuzione e in parte resi graduali e spalmati nel tempo, ma “già oggi i nostri associati pagano un 10-11% in più ai produttori rispetto a un anno fa - ci hanno svelato da Federdistribuzione - Ed è probabile che da settembre questa percentuale riguarderà anche i prezzi al consumo”. Tradotto: dopo l’estate aspettiamoci un tasso d’inflazione a due cifre.

Emanuele Capone

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