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Gli americani hanno inventato un nuovo tipo di pasta: i cascatelli. Ci puoi credere?

pubblicata il 05.04.2021

Prima l’ansia da “è finita la pasta e sugli scaffali non ce n’è più” (tranne le penne lisce, ovvio), che negli Stati Uniti era diventata “oddio, stanno finendo i bucatini!”. Poi il presidente Putin che lo scorso dicembre si era lamentato in diretta nazionale del fatto che “la pasta costa troppo e così non va bene” (parlava del mercato russo, ma tant’è). Poi ancora, la storia della carbonara e della cacio e pepe “rivisitate” dal New York Times, con conseguenti polemiche, schieramenti, prese di posizione, che quasi sarebbe stato da valutare un intervento del governo… non fosse che allora non lo avevamo proprio, un governo. Pasta, pasta, pasta e ancora pasta: sembra che di questi tempi non si parli d’altro, soprattutto all’estero, soprattutto negli Usa. Vero: lo hanno sempre fatto e ne hanno sempre parlato tanto, ma forse mai come fra l’anno scorso e i primi mesi di quest’anno. Tutti esperti neanche fossero nati in Emilia, talmente esperti che adesso ne hanno addirittura inventato un nuovo tipo. Di pasta. Gli americani. Gli americani hanno inventato un nuovo tipo di pasta e noi non ne sapevamo nulla. Ma nuovo davvero, nuovo che prima non c’era: abbiamo controllato e ricontrollato, pure sfogliando le prime edizioni del Cucchiaio, andando indietro di 70 anni e oltre, e dei cascatelli non c’è traccia, non c’è memoria, nemmeno l’ombra. Perché così si chiamano, cascatelli. E non li ha inventati uno chef, un cuoco, un fine critico gastronomico, che magari sarebbe anche andato bene. No, li ha inventati il conduttore di un podcast. Un podcast molto conosciuto e molto ben fatto e dedicato al cibo, per carità, ma il tizio in questione non ha nemmeno il cognome italiano, che anche questo magari ci avrebbe consolati un po’. Consolati del fatto di non essere nemmeno stati consultati, s’intende. Del fatto che ci sia in giro nel mondo una nuova versione del nostro piatto nazionale e che nessuno ci abbia avvertiti del suo arrivo. Da dove vengono e perché si chiamano così Anche perché non è che i cascatelli siano saltati fuori così, dal nulla. Cioè, sì. Ma in realtà no. Il loro inventore, che si chiama Dan Pashman e ha poco più di 40 anni, ha spiegato di averci lavorato su negli ultimi 3 anni, raccontati online in modo molto divertente al grido di “gli spaghetti fanno schifo!”. Ecco, la molla che l’ha spinto è stata questa: non l’odio per gli spaghetti, ma l’intenzione di creare qualcosa che potesse sostituirli degnamente e magari anche migliorarli, come ha detto lui stesso agli ascoltatori del suo podcast, che si chiama The Sporkful e si trova anche su Spotify. E così sono nati i cascatelli, cercando di unire al meglio le caratteristiche di due tipi di pasta molto amati da Pashman: le rouches delle mafaldine (come quelle della nostra ricetta per prepararle col pesto di cime di rapa) e la parte cava dei bucatini. Tutto per raggiungere punteggi massimi nei 3 parametri presi in considerazione, cioè la capacità di trattenere il sugo (sauceability), di essere ben gestibili con le posate (forkability) e di avere una buona consistenza sotto ai denti. Insomma, secondo Pashman i cascatelli sono perfetti perché, come direbbe anche Banderas, sono molto “inzupposi”, perché sono facili da mangiare con la forchetta (diversamente dagli spaghetti, almeno secondo gli americani) e perché danno belle sensazioni alla bocca e al palato. Va bene, ma perché si chiamano così? Perché “sono una cascata di sugo”, ovviamente. Ma allora perché cascatelli e non cascatelle, come sarebbe stato più corretto dal punto di vista grammaticale? Perché una “i” in fondo alla parola fa così made in Italy, altrettanto ovviamente. È un po’ come le foto del Papa, di Alberto Sordi e di Sofia Loren appese alle pareti di più o meno qualsiasi ristorante italiano da una costa all’altra degli Stati Uniti, da New York a Los Angeles. Perché loro (gli americani) ci vedono così, e poco importa se noi non siamo così. Non più, almeno.

Dove si comprano e perché stanno avendo successo Questioni semantiche a parte e al netto dei patriottismi e dell’ironia, c’è da registrare il grandissimo e immediato successo che i cascatelli hanno avuto: sono già finiti, ma non sugli scaffali dei supermercati. Su Internet, nell’unico posto dove si potevano comprare (4 confezioni da mezzo kg a 17,99 dollari, più o meno 15 euro): il primo quantitativo è andato esaurito in in un paio d’ore, sono stati riassortiti, sono finiti di nuovo e adesso “qualsiasi nuovo ordine sarà evaso in non meno di 12 settimane”. Capito? Per vederseli arrivare a casa e poterli provare è necessario aspettare 3 mesi, neanche fossero il nuovo iPhone. E però come un iPhone sono stati creati, e forse questa è una delle ragioni del loro successo: le immagini che li accompagnano descrivono in qualche modo il processo di ingegnerizzazione, anche con bozzetti disegnati su carta quadrettata, dettagli messi in evidenza, spaccati e viste di sezione. È solo pasta, ma sembra il progetto di un aereo a reazione o di uno di quei grattacieli destinati a sfidare la legge di gravità. E questo ha probabilmente dato un senso di concretezza e tangibilità a tutta la storia. L’altra ragione, ovviamente, è che sono pasta, che sono una pasta nuova, che ricordano l’Italia (anche se sono nati in America e noi non lo dimentichiamo) e sappiamo che l’Italia ha un appeal internazionale fortissimo, come qualche mese fa ci spiegò l’Accademia della Crusca parlando delle nostre parole del cibo “prestate” all’estero. Lo sanno anche i titolari di Carbone, la catena di ristoranti italiani con sedi a New York, Miami, Las Vegas e pure Hong Kong, frequentati da attori di Hollywood e star del basket, che hanno deciso di mettere in vendita online 3 delle loro salse più famose e amate dai clienti, Arrabbiata, Marinara e Pomodoro e Basilico. Ne stanno vendendo tantissimi barattoli, ma questa è un’altra storia, decisamente un’altra storia.

di Emanuele Capone

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