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Il giorno dei morti a tavola, cosa si cucina in Italia per ricordare i defunti

pubblicata il 30.10.2023

Fave dei morti, ossa dei morti, ‘strunziddi d'ancili’ (cacca di angioletto), il giorno dei defunti è una celebrazione piena di spiritualità e tradizioni. Viaggio nell’Italia che i suoi morti, per un giorno, li aspetta in soggiorno!

Il giorno dei morti, eclissato dal più popolare ed esotico Halloween, è da sempre celebrato in Italia il 2 novembre, nei cimiteri ma anche a tavola. Non è più un giorno festivo e per questo non ci facciamo più caso. Ma qual è il significato di questa commemorazione e, soprattutto, quali sono le tradizioni culinarie più diffuse?

Quando si celebra

Il giorno dei defunti si festeggia nella chiesa cattolica (ma anche in quella anglicana) il 2 novembre, mentre Halloween, festa pagana, si tiene la notte tra il 31 Ottobre e il 1 Novembre (che è Ognissanti, il giorno dei Santi). Nella tradizione cattolica, la decisione di dedicare un giorno preciso alla commemorazione dei defunti viene dall’abate benedettino Sant’Odilone di Cluny nel 828 d.C. L’abate lo stabilisce dopo il racconto di un confratello al rientro dalla Terra Santa. Odilone sembra realizzare in quell’occasione che le preghiere sono uno strumento potente di aiuto per le anime dei defunti inseguite dai demoni. E da quel momento stabilisce che il giorno successivo alla commemorazione dei Santi fosse dedicato al culto dei morti.

Perché si celebra

La festa dei morti ha un significato religioso molto complesso che fa riferimento al destino finale dell’uomo. Con le preghiere, in questo giorno, si intercede per i defunti che si trovano in Purgatorio, affinché completino il loro viaggio nell’aldilà, si tratta delle anime che hanno ancora bisogno di un percorso di purificazione prima di raggiungere la beatitudine celeste. Pregare per i defunti, allo stesso tempo, significa credere in una vita oltre la morte e, più ancora, dedicare un giorno alla memoria di chi non c’è più. Il ricordo, la nostalgia e l’affetto si manifestano anche attraverso la cura delle tombe, che, tradizionalmente, vengono sistemate e addobbate, soprattutto con i crisantemi, un tempo fiore simbolo di questa celebrazione, e il pellegrinaggio nei cimiteri.

Che sia una celebrazione di respiro internazionale e con diverse declinazioni ce lo conferma anche Miguel, il protagonista del film di animazione Disney Coco che, proprio nel Dias de los Muertos, come si chiama in Messico, valica il confine tra vivi e morti per amore della musica (mangiando tamales).

Ma cosa succede la notte dei morti?

È la notte in cui il limine, il varco tra vivi e morti, si annulla e benché i due mondi non si incontreranno mai, è dato di pensarlo. Ogni luogo ha la sua tradizione per celebrare questa vicinanza con i defunti, si arriva a lasciare vivande e fuochi accesi per creare un luogo accogliente, ai nostri defunti nel momento in cui rientrano, seppur temporaneamente, alla loro dimensione terrena.

I dolci dei morti

Dopo aver ripassato il valore della celebrazione religiosa passiamo alle tradizioni culinarie miste a credenze, talvolta severe o addirittura sinistre. I morti che tornano per un giorno, anche se portano dolci e sorprese (persino regali) restano talvolta nell’immaginario dei più piccoli a lungo (anche tutta la vita).

In Sicilia

Per la Sicilia ci siamo rivolti a Maria Oliveri, autrice del libro I segreti del chiostro. Storie e ricette dei monasteri di Palermo. Lo abbiamo fatto perché la Dolceria del monastero di Santa Caterina a Palermo mette insieme l’aspetto religioso ai prodotti in cui più si identificano le ricorrenze. “La festa dei morti è molto sentita in tutta la Sicilia e in particolare a Palermo” e Maria subito ci ricorda le parole con cui Andrea Camilleri comincia il suo racconto il giorno che i morti persero la strada di casa: “Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari”, di morti che, naturalmente, portavano doni ai più piccoli.

“I bimbi trovavano al centro della tavola, al loro risveglio, la mattina del 2 Novembre, un pupo di zuccaro o pupaccena, ossia una ballerina, un cavaliere, un bersagliere, un galletto, in zucchero fuso e dipinto a mano e poi un cesto pieno di frutta secca e di dolcetti come: le ossa dei morti, i biscotti regina, i tetù, i taralli e ovviamante la frutta martorana!”

“La frutta martorana” continua Maria Oliveri “è uno dei prodotti di punta della nostra produzione (alla Dolceria n.d.r.): si tratta di dolcetti di marzapane che raffigurano in maniera realistica ogni tipologia di frutta. Vengono prodotti solo con mandorle appena macinate, zucchero e pochissima acqua. Un altro dolce di punta della pasticceria conventuale, prodotti nel nostro laboratorio nel periodo dei morti, sono i biscotti regina, che venivano realizzati nel monastero dei Settangeli di Palermo, con il soprannome di ‘strunziddi d'ancili’ (cacca di angioletto): sono dei biscotti oblunghi, ben cotti, ricoperti di semi di sesamo (in siciliano giuggiulena o cimino)”.

La Sardegna e i papassinos

Il nome deriva da "papassa", cioè uva passa in sardo. I papassinos sono dolcetti a base di farina, uva sultanina, zucchero, uova fresche, vino cotto (sapa), mandorle, latte e lievito. Originariamente si preparavano per Ognissanti, più che per il giorno dopo, oggi hanno varcato il confine della tradizione locale e anche della regione, sono noti in tutta Italia e si consumano tutto l’anno.

In Calabria

Anche in Calabria la ricorrenza è molto sentita, si organizzavano processioni ai cimiteri nella notte tra Ognissanti e il 2 novembre, dopo la preghiera si allestivano banchetti proprio sui sepolcri con il significato di ristoro per chi stava compiendo un lungo viaggio. Mentre nelle case, i dolci più diffusi venivano lasciati sulle tavole del soggiorno, durante la notte, per rifocillare i defunti. Erano le dita degli apostoli, dei cilindri di pan di spagna riempiti di crema e glassati, il grano dei morti, un dolce a base di chicchi di grano lessati e conditi con melagrana, mosto, cioccolato, frutta secca e canditi, e le fave dei morti che si trovano nella maggior parte del territorio italiano.

Le fave dei morti una tradizione dell’Italia intera

La storia che sta dietro le fave dei morti è molto suggestiva, si supponeva che le fave contenessero le anime dei defunti perché la pianta delle fave ha delle radici così profonde da raggiungere l’Ade, creando una connessione tra i due mondi. Biscotti rustici e tondi, a base di mandorle e pinoli, colorati o no, che grazie al loro nome sono metafora di un collegamento di anime.

Ci racconta Sara Querzola “a Bologna (e in alcune zone della Romagna) per la festa dei morti si trovano nei forni, ormai raramente, le fave dei morti che qui sono di solito di 3 colori: bianche, rosa (con l'alchermes) e scure (con il cacao). L'impasto di norma è a base di mandorle, albumi e zucchero, ma esistono diverse varianti. In Romagna in alcune zone si prepara la piada dei morti, che è dolce con frutta secca”.

Le castagne in Piemonte

Una delle tradizioni del Piemonte rurale era quella di bollire, nella notte del 31, le castagne. Il giorno dopo venivano consumate ma una porzione la si conservava per i morti, è proprio il caso di dire: poveri morti accolti a castagne bollite! Del resto, anche poveri bambini che venivano svegliati alle 5 del mattino e si avviavano al freddo verso i cimiteri ad assistere alla benedizione del parroco.

Il pan dei morti in Lombardia

Severe anche le celebrazioni a tavola in Lombardia dove si prepara il pan dei morti, si tratta di biscotti big size, di solito ne basta uno a saziare gli appetiti più esigenti. È un dolce povero, di tradizione contadina, ma sostanzioso proprio perché deve rifocillare i morti, al loro arrivo nel mondo dei vivi dopo un viaggio a dir poco impegnativo. Nel tempo la ricetta si è rinforzata e ampliata negli ingredienti includendo anche il cacao.

In Lombardia si usa anche preparare ‘i ceci per i poveri morti’, una zuppa di ceci con le cotiche e in qualche versione anche zampette e musetti del maiale.

Ma attenzione, questa zuppa rischia di farti fare il viaggio in senso contrario.

Annalisa Musso

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