Attualità

Storchi, altri lambruschi. Pozzoferrato in verticale

pubblicata il 07.07.2014

Prefazione. In un giorno d'estate di molti anni fa, facendo la spesa nella superetta del paesello, inciampai in una etichetta di Lambrusco a me sconosciuta. Bella per la verità: asciutta e rigorosa, parlava di una cantina di Montecchio, e di un vino scuro come l'abisso. Ne presi un paio, che portavano anche indicato il millesimo: Pozzoferrato 2006, assaggiato nel '9. Stupore, per un bicchiere vigoroso, del tutto scevro dai sintomi dell'età. Ne scrissi in preda a trance etilica, terminando con una sola parola: eccezionale.
Passò del tempo: i fratelli Storchi mi contattarono via mail con il loro ruvido garbo da uomini di lavoro e di carattere. "Qualcuno" aveva letto la scheda, e "qualcuno" cominciava ad interessarsi. Poi iniziarono a farsi vedere alle manifestazioni di settore, ci incontrammo di persona: furono abbracci di vecchi amici e storie di musica di decinaia di anni fa, di gnocchi fritti e di salami. Bevemmo altre bottiglie, passò il tempo promettendoci "una sera" di assaggiare tutto. La sera venne.
Tra salumi e gnocchi fritti aprimmo bottiglie illegali, nel mondo dei Lambruschi: troppo vecchie, dicono i filosofi, che il Lambrusco è di pronta beva e al massimo si beve nell'anno. Certo, qualche tappo mostrava gli acciacchi dell'età, ma quello che esciva dalle bottiglie era stupefacente. Miracoloso, vien facile dire.
Svolgimento. Un 2003 che gli anni hanno sospinto sul fronte del vino, più che del frizzante, ma che riesce ancora a tenere traccia della spuma, seppure svelta e sottile come i capelli canuti di un vecchio, e come un vecchio segnato da una dignitosa evoluzione. Un 2004 che risuona ancora di un frutto esplosivo, la spuma reboante - se vuoi appena impallidita nel colore - per nulla esile, il corpo palpabile, con tannini vivi e robusti. Per nulla piegato alle dolcezze del tempo, scalcia ancora con testarda pervicacia, regalando un vero attimo di smarrimento.  Il pur nervoso 2006 cammina a passi ancora fermi, più tondo e più potente, sagace quasi  al sorso, capace di una espressione di forza ancora proditoria. Più garbato, più sereno e anche meno altisonante il 2007, che fa professione di eleganza non solo all'olfatto. Passa in fanteria il 2008, forse ammaccato da una vendemmia balzana, mentre il 2009 ha già voce e distinzione. Il 2011, al cospetto di tanta vetustà, quasi a chiedere altro tempo palesa un frutto dolce e polputo che solo il carattere ferruginoso del bicchiere tiene a bada, a fatica. Il 2013 è l'oggi, alziamo i calici e ne parleremo altrove.
Epilogo. O forse, per meglio dire, …continua.
  

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