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Pagine da Mangiare | Serena, la spia che mangiava

pubblicata il 29.05.2013

Il più recente romanzo di Ian McEwan - Miele - è in vari sensi un romanzo storico. E nella traiettoria che dall'Inghilterra di fine anni Sessanta conduce a quella di oggi lo scrittore non trascura l'ingrediente delle abitudini in fatto di cibo e di cucina. Come già altri autori inglesi, McEwan stesso ha incluso almeno un paio di descrizioni di pasti britannici in altri suoi libri: l'algida, imbarazzata cena sulla soglia di una disastrosa prima notte di nozze, in Chesil Beach, e la zuppa di pesce che prepara, a partire dalla visita a una pescheria londinese, il neurochirurgo protagonista di Sabato. In Miele la protagonista, infima rotella nel meccanismo dei servizi segreti inglesi, assiste rapita all'intrecciarsi nel proprio addestramento al lavoro di spia di un apprendistato nel territorio del gusto. Lungo l'estate del 1972 Serena Frome intrattiene una relazione con un anziano accademico che se l'è presa per amante. E nella relazione entra ben presto, accanto ai più ovvi piaceri del sesso, la scoperta di cibi impensabili per una giovane donna di provincia, appena uscita dall'Università. Il suo amante e mentore vanta un soggiorno non breve in una non meglio precisata istituzione di Siena, ed è dunque in grado di allestire una cena di romantico, esotico, splendore, nella quale si possono leggere in filigrana tutti gli allettamenti che indurranno nei decenni a seguire la metamorfosi delle colline toscane in Chiantishire. Sul tavolo di un cottage immerso nei boschi intorno a Cambridge si dispongono così una conca di porcini (in italiano nel testo) stufati con olio di oliva e pancetta(in italiano nel testo), un piatto di polenta (in italiano nel testo) e una bottiglia di Barolo. L'amante più anziano trova modo, con consumata tempestività, di concludere la relazione, ma i piaceri della tavola, e il piacere di parlarne, più ancora che l'apprezzamento di vini e cibi in se, rimangono nella vita di Serena. Il vertice emotivo della prima operazione importante che le viene affidata dall'MI5 - l'operazione Miele - coincide con l'abitudine di cenare in un costoso ristorante in riva alla Manica, instaurata insieme all'uomo che dell'operazione Miele è oggetto. La giovane donna s'inebria della disinvoltura di ordinare il 'solito', che consiste in un piatto di ostriche accompagnate da champagne: sia lei che il suo commensale non osano smettere di far finta che gli piacciano (il trucco è quello di mandarle giù senza sentire il sapore). Più facile è la scelta di un vino rosso per accompagnare la sogliola di Dover, grassa e croccante. La preferenza per un Rioja di corpo esibita con la vanità di considerarsi spiriti liberi: il vino bianco è riservato alle conversazioni post coitum, grazie all'ubiquo contagio di James Bond. Quello che risulta meno semplice, in questo tripudio di esperienze gustative, è mescolarvi le complicazioni che annodano la vita di Serena, dello scrittore che lei deve accudire per conto dell'MI5, delle altre persone che partecipano all'operazione Miele. La donna sa che il prezzo da pagare è ben più alto del conto di varie cene in un ristorante di lusso, ma il suo destino sarà di pagarlo, quel prezzo, fino in fondo. In ogni senso.  

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