Attualità

Ricci | Lambic for dummies [Part III]

pubblicata il 29.11.2011

Prima di scolarci finalmente il bicchiere di lambic che attende nel bicchiere dalla scorsa puntata occorre affrontare un nodo cruciale. Di cosa parliamo quando parliamo di lambic? Beh, parliamo di lambic VERO ovviamente, cioè lambic non addizionato con dolcificanti o prodotto con sciroppi alla frutta. E parliamo di lambic con dentro del lambic e basta, e non birra o chissà cosa… Già capita anche questo, e per il neofita non è semplice muoversi nella jungla di una regolamentazione dalle maglie larghe per non dire inesistente. Così capita chi ti sputa sentenze inappellabili sulla base dell’assaggio di uno sciroppone alla banana spacciato per lambic… Mi raccomando, alla larga dai lambic finti! Recentemente produttori ed assemblatori appartenenti ad Horal hanno proposto di identificare con il prefisso Oude i prodotti di tipo tradizionale (cioè quelli autentici). Il problema infatti sta nel fatto che presso molti produttori convivono lambic propriamente detti e sciropponi. E' un modo in verità un po' ambiguo da parte di alcuni di cercare di difendere la tradizione, ma comunque un buon aiuto per il neofita.  Cantillon, da sempre baluardo del tradizionalismo integrale, non ha ovviamente bisogno del prefisso Oude per identificare il proprio prodotto. Un altro ottimo metodo per selezionare è quello di stare in guardia rispetto ai produttori nelle mani delle multinazionali. Una distinzione, fin qua solo sfiorata ma fondamentale, è quella fra produttori e assemblatori. Non sempre chi assembla produce il proprio lambic, a testimonianza di come l’affinamento in botte e l’assemblaggio siano fondamentali, mentre può capitare che un produttore venda il proprio lambic assemblandolo con quello di altri. E c’è chi produce il proprio lambic e lo vende principalmente addolcito, rovinandone qualità e fama, mentre altri assemblatori possono utilizzarlo in maniera rigorosamente tradizionale. Qualcuno, per finanziarsi, insieme al lambic commercializza anche birre standard. Insomma, c’è un po’ di confusione, anche perché ovviamente in etichetta nessuno riporta provenienza e percentuali dei lambic presenti ed eventuale addizionamento di zuccheri. Fra i produttori abbiamo Cantillon, Boon, Girardin, Lindemans, Mort Subite, Timmermans, De Troch, Belle-Vue. Gli assemblatori sono attualmente 3 Fonteinen, Hanssens, Oud Beersel, De Cam, Van Honsebrouck. Le cose, ovviamente, non possono essere così semplici… 3 Fonteinen, da sempre uno dei più apprezzati assemblatori, aveva iniziato qualche anno fa a cimentarsi anche con la produzione finché, in concomitanza con diverse tipologie di guai, aveva smesso. Pare però che abbia intenzione di riprovarci quindi non è escluso che in futuro debba essere reinserito fra i produttori. Oud Beersel invece è sempre stato un produttore - visitando il birrificio potete vedere il vecchio impianto - finché il vecchio Henri Vandervelden aveva dovuto chiudere il birrificio per problemi finanziari. Oggi i giovani che hanno coraggiosamente ripreso in mano il birrificio producono presso l’impianto di Boon, cioè non si limitano ad acquistare il suo lambic bensì sono loro stessi a realizzarlo. Al firmamento degli assemblatori si è da poco aggiunta una nuova stella, segno che la rotta verso l’estinzione è stata decisamente invertita. Pur operando al di fuori del sacro Pajottenland, Tilquin ha da subito convinto molti appassionati ed è l’unico ad usufruire dei lambic di Cantillon per l’assemblaggio. Con tutto questo parlare mi è venuta sete. Cosa aspettarsi quindi dal bicchiere di lambic appena versato? Acidità innanzitutto, che può essere selvaggia in alcuni casi e che spazia dal limone al lattico all’acetico, poi caratteristiche note di pompelmo, di metallico (sangue), di cantina, a volte salato e almeno parte della compilation di off flavours elencati nella prima puntata. Nel bere lambic, più che spaccare il capello su quanto sia acerbo o meno il caco, conviene concentrarsi soprattutto sulle sensazioni tattili boccali, l'ovvia astringenza, la salivazione e - se proprio dobbiamo - cimentarsi con l’open mind, cioè con l’associazione di ricordi gustativi personali, non convenzionali, che escono dai canoni dei descrittivi regolamentari per entrare nella memoria delle proprie esperienze, come le già citate carte da gioco usate (copyright by Kuaska). Da consumarsi preferibilmente entro... la fine del mondo. In realtà, meglio bere nel giro di qualche anno i lambic a base di frutta per apprezzarne appieno la freschezza (anche se quelli con uve a bacca scura secondo me danno il meglio dopo un lustro), mentre una gueuze conservata con cura in cantina, nonostante il contenuto alcolico non elevato, grazie al contributo conservante del luppolo invecchiato e all'elevata acidità può evolvere tranquillamente per 10/20 anni. Jolly nell’abbinamento con i cibi, sapendo osare con criterio. Per chi volesse mai approfondire, convertito sulla via di Damasco: 1) imperdibile la visita al Birrificio-Museo di Cantillon a Bruxelles, dove la Gueuze viene ancora prodotta come avveniva 150 anni fa 2) partecipare assolutamente al biennale Toer de Geuze, una specie di cantine aperte del lambic 3) pellegrinaggio lampo alla fabbrica dismessa dell'estinto Eyelnbosch a Schepdaal, fra macchinari abbandonati, cataste di bottiglie impolverate e botti lasciate a marcire si respira l'aria di un tempo che fu e che ancora stringe il cuore. Per tutti gli altri, assaggiarsi finalmente un bicchiere di vero lambic, almeno una volta, dopodiché potete pure sguinzagliarmi dietro i dobermann. Immagine: Lambic and Wild Ale  

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