Attualità

Oscar Farinetti: "lasciate che i piccoli vengano a me"

pubblicata il 14.03.2012

Che Oscar Farinetti sia un imprenditore eccezionale credo sia ormai fuori discussione. Credo che nella mia "cara vecchia" Bocconi ormai il suo sia diventato un business case polivalente, che va dall'innovazione nel marketing strategico alla costruzione di una brand idenity forte, allo sviluppo organizzativo. A me Oscar Farinetti piace perchè quando parla sorride. Ma non di quei sorrisi da politicante su manifesti di periferia: di un sorriso sincero di chi per primo crede che si possa cambiare. Sì, Oscar Farinetti mi ricorda un po' Rocky Balboa nella scena del "Perchè se io posso cambiare, e voi potete cambiare, allora tutto il mondo può cambiare". Parla sempre in prima persona di quello che gli piace davvero e di quello che vorrebbe  fare concretamente, è proattivo nei confronti del mondo "in crisi", ma non ingenuamente con le fette del culatello a lui caro sugli occhi, bensì con la voglia di raccontare piccole esperienze di cambiamento possibile, nonostante irrigidite pseudo-istituzioni o sovrastrutture politico burocratiche. A Taste a Firenze ha affrontato dal suo punto di vista il tema dell'italianità artigianale, e soprattutto del significato dell'essere Artigiani Italiani nel mondo. Senza stare spocchiosamente a snocciolare dati di fatturato di Eataly, ha raccontato l'esperienza di come ci vedono da fuori: custodi di tradizioni e tesorieri di  biodiversità come nessun altro. Insomma, tutti nel mondo vorrebbero vestire e mangiare come noi Italiani e non approcciandosi goffamente per stereotipi - come Julia Roberts in Eat, Pray, Love - ma con la consapevolezza di trovare una varietà ed eccellenza uniche. Farinetti non parla con l'usuale campanilismo ossequioso tricolore, ma anzi con una punta di rabbia  per quel primato di regionalità che spesso la burocrazia ci impedisce di esportare e per quella mancanza di responsabilità di chi dall'alto dovrebbe valorizzare la capacità artigianale di raggiungere vette di qualità e invece investe ancora in armamenti. Belle parole, ma quindi in pratica come si fa? In cima alla ricetta c'è un gigante "Muovere le chiappe". Garibaldi c'è già stato e probabilmente Batman non esiste, quindi il mix prevede coraggio e furbizia degli onesti, quella dei buoni dei western di Sergio Leone. E' finito il tempo degli alibi e oltre al costante impegno nel raggiungimento dell'eccellenza delle produzioni serve un forte investimento in comunicazione, il famoso Coccodè della gallina che ha fatto l'uovo, o nessuno lo saprà mai. Ma anche tante iniziative concrete, a cominciare dal progetto del gruppo di lavoro dell'Università di Pollenzo per la semplificazione della burocrazia agroalimentare: semplificare per rendere comprensibile ciò che non lo è, e dare un significato profondo a quelle sigle che ora proteggono solo posizioni di lobby ma si sono svuotate di contenuto. E chiude con un messaggio forte: l'educazione alimentare va fatta ai piccoli anche per educare noi stessi. Se a scuola venisse trattata come una materia, dove i bambini imparano che le arance ad agosto sono "fuori stagione" e arrivano da posti lontani con un carico per la natura in termini di inquinamento e un costo ingiustificato, al primo "Perchè mamma le arance in agosto?" anche noi adulti diventeremmo più consapevoli e responsabili. "Piccoli" che educano i grandi e "piccoli" artigiani che fanno grande il Made in Italy. E un consiglio prezioso: "Tutto ciò che non si conosce, è come se non esistesse". A buon intenditor...

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