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Pagine da Mangiare | La minestrina dell'assassino

pubblicata il 01.10.2012

«Crede che qui potrebbe essere felice, Miss Bostock?». La domanda conclude il colloquio al quale una giovane donna si presenta, insieme al marito, per lavorare come cuochi in una lussuosa clinica privata, in un recente romanzo della scrittrice inglese P. D. James. Nello stesso romanzo, la vittima alla quale è dedicato il titolo - La paziente privata - sceglie quella clinica per un intervento di chirurgia estetica dopo aver assaggiato l'uovo in camicia cucinato e servito alla perfezione per il breakfast: i due cuochi sono stati assunti, e si sono rivelati più che competenti. Non c'è storia di P. D. James che non comprenda qualche descrizione di un pasto. Non semplici elenchi di vivande: lo stile minuzioso, entomologico, dell'autrice si sofferma sulle pietanze, giudicandone la qualità di preparazione. Il tenore dei piatti è sempre accordato con l'ambiente nel quale si svolgono, che si tratti di una casa privata, un ristorante, una piccola comunità. Altrettanto può dirsi dei vini che li accompagnano. Il funzionario di polizia Adam Dalgliesh, che compare in quasi tutti i romanzi, ha gusti raffinati in fatto di cibi e di vini. In una storia, una dei protagonisti è una cuoca professionista, autrice di libri di cucina. La descrizione del suo ampio spazio di lavoro, aperto su una terrazza rivolta al mare del Nord, è essa stessa una celebrazione di tutto ciò che di piacevole si può fare in una cucina: memorabile fra le altre la preparazione, a mano, della lemon custard. In uno dei primi romanzi, Scuola per infermiere, il pranzo consumato nella mensa di un ospedale da Dalgliesh insieme alle insegnanti della scuola è l'occasione per rappresentare i diversi personaggi attraverso le rispettive scelte nella non esaltante lista di piatti a disposizione. La mensa, viene notato en passant, non preparava rognoni nelle giornate in cui l'urologo era in sala operatoria. Come in molti romanzi gialli, ci sono spuntini improvvisati - mai banali, però. Stupenda la rievocazione di una pasty: un involto di sfoglia contenente carne, patate e verdure, tipico della Cornovaglia. Ma P. D. James è più a suo agio con le situazioni tradizionali della cucina inglese: il breakfast, il tè pomeridiano, la cena formale per la quale ci si cambia d'abito. Chi ha un debole per la tradizione gastronomica britannica trova innumerevoli motivi di delizia. In Brividi di morte per l'ispettore Dalgliesh la scena della cuoca, interrogata nella sua cucina, mentre prepara un tegame di braciole di maiale con peperoni e pomodori, sembra profumare le pagine sulle quali è stampata. Il confronto fra la cena di una famiglia modesta - minestra in scatola e cannelloni surgelati - e quella dei vicini, di condizione leggermente superiore - stufato e torta di mele fatti in casa - è sufficiente a rappresentare la differenza fra il ménage di una giovane donna che lavora, con madre e nonna a carico, e quello di una famiglia nella quale la moglie ha scelto di non avere un'occupazione fuori di casa. Anche ai personaggi che vivono da soli la scrittrice non fa mancare notazioni sulle abitudini alimentari: la cena preferita di un assassino: minestrina e uova strapazzate, i cibi organici acquistati al mercato contadino dal giovane e colto poliziotto Francis Benton Smith, l'ottimo caffè preparato dall'amante di un parlamentare (probabilmente la bevanda che poteva condividere più spesso con lui, nota l'autrice), i pub londinesi frequentati dalla investigatrice Kate Miskin. Nei gialli di P. D. James la cucina può fornire talvolta l'arma del delitto, o un indizio determinante per la risoluzione, ma non è mai la scena di avvenimenti tragici. Tutti i suoi lettori sanno - insieme alla giovane cuoca Kim Bostock - che la risposta alla domanda «In cucina potrebbe essere felice?». non può essere che: «Sì». Immagine: L'azzimato Adam Dalgliesh da Spiderbox

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