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Il Sabato del Villaggio | Sono stato rapito dagli Alieni e non sono morto

pubblicata il 29.12.2012

Il ventuno del dodici del venti-dodici stavo procedendo a velocità moderata in tra le nebbie della Lomellina quando una vorticosa luce abbagliante di quarantamila colori comparve squarciando il biancore. La vettura improvvisamente smise di funzionare, e l'aradio - che in quel momento strava trasmettendo una modesta versione acustica di Crazy di Gnarls Barkley - si spense sul refrain. Pensai alla profezia Maya, e mi sentii in pace con il mondo, pronto alla fine finale. La luce era così intensa che non consentiva di vedere i contorni dell'enorme oggetto che si librava a un metro d'altezza, apparentemente senza alcuna forza di contrasto alla gravità. Un lungo corpo serpentiforme fu estroflesso dall'aereo astrale, si spinse fino a me. Io avevo già premuto il comando "safety" che chiude i boccaporti come quando si passa da Secondigliano, il bottone collegato alla stazione di polizia e il servizio antinfarto. Ma purtroppo il poderoso campo magnetico dell'astronave impediva il funzionamento di qualsiasi oggetto elettrico: tutto fu evidente quando smisero di arrivare sull'iFon le notifiche di Whatsapp e gli "inviti" a serate di degustazione a pagamento da Fazzabù. Il peduncolo metallico con una poderosa scarica elettronucleare aprì la portiera in un amen, si avvolse attorno al mio petto e mi strappò dal caldo abbraccio della vettura emettendo un gemito in un linguaggio alieno, che però assomigliava curiosamente ad una frase in dialetto reggiano: "Uff s'tè pèis", che tradotta in italiano significa più o meno "nel tentare di sollevarti mi rendo conto che non menti quando dici che ultimamente sei un po' sovrappeso, anche se da vestito non sembra". Trascinato a bordo della nave spaziale fui condotto in un laboratorio e legato ad apparecchi dalla strana foggia che iniziarono a studiarmi e catalogarmi. Sonde eutropiche mi sondarono, spicilli fotonici mi specularono, scanner psicomorfi mi scansionarono. Alla fine vidi emergere delle figure dall'ombra. L'orrore mi attanagliava, non avevo il coraggio di aprire gli occhi per vedere quegli esseri mostruosi che mi avrebbero mangiato il cuore con un bicchiere di Chianti da lì a poco. Poi sentii delle voci. Parlavano un italiano corretto, ma con un leggero accento di Chieti. Aprii gli occhi, scoprendo strabiliato che erano spaventosamente simili a noi. Belli brutti alti bassi. Tra di loro anche alcune femmine, ed anche loro assomigliavano terribilmente alle femmine terrestri: strani apparecchi comunicatori dalla forma di iFon in mano, un curioso flacone di liquido trasparente che assomigliava ad acqua minerale liscia fuori frigo nella borsetta. Nelle luci verdi del laboratoratorio riuscii anche a vedere le scritte Prana, Luis Vuirton e Fenci. Pensai che aveva ragione chi diceva che il fenomeno delle false griffe aveva portata galattica. Gli estraterrestri confabulavano tra di loro e discutevano se fosse meglio staccarmi la testa e cucirla ad un corpo di cavallo Appaloosa, oppure se si poteva provare ad amputarmi le braccia ed innestarle ad una rana toro del Nuovo Messico. Alla fine, entrò quello che sembrava un dirigente superiore, e la cosa che mi colpì terribilmente è che assomigliava come una goccia d'acqua a Valerio Massimo Visintin. Disse con voce baritonale "Matù. Matù. Abbiamo scansionato il tuo cervello ed abbiamo trovato tracce di una scienza terrestre che si chiama Alta Cucina. Non abbiamo capito di cosa si tratta." Puntò un indice lungo e forte verso di me e intimò "Spiègacelo"! Tremando, con la voce ridotta ad un filo risposi "Maestà, l'Alta Cucina è la scienza che consente di trasformare gli alimenti grezzi in cibi che deliziano il palato. Per esempio, il grano, l'uovo e il maiale con una sapiente operazione si possono trasformare in una Carbonara". Tutti tacquero. Il fratello alieno di Visintin aggrottò la fronte, si consultò in via telepatica con i colleghi e dopo breve riflessione disse: "Matù. Matù sai farlo?" Mi sentii piegare le ginocchia. Raccolsi le ultime forze e risposi in un fiato "Con gli opportuni strumenti e gli opportuni ingredienti sì. So farlo.". Mi guardò per quella che mi parve un'eternità, poi sentenziò: "Andiaamo". Svaligiammo la filiale romana di Eataly per riempire la cambusa, prelevammo la cucina del temporary restaurant Elecrtolux, saccheggiammo la cantina dell'Enoteca Pinchiorri e partimmo per arrivare là, dove l'uomo non è mai giunto prima d'ora. Non vi racconterò i mondi che ho visto, le stranezze conosciute, la sapienza oltre i limiti dell'immaginabile. Ma ho cucinato carbonare e lasagne, tortelli e amatriciane, paste e fagiuoli e tagliolini al tartufo per tutte le specie di esseri viventi galattici ed estragalattici. La cosa più curiosa che ho scoperto però è che tutti alla fine assomigliano agli esseri umani, e che tutti possono sopravvivere senza il tè nero affumicato Lapsang Souchong. Alla fine il Neo-Visintin mi chiamò a colloquio. Avevo scoperto che in realtà era il Plutodirettore Imperialregio dell'Emisfero Occidentale Pangalattico, e perciò dotato di un certo ascendente sul Padrone dell'Universo. Mi disse, "La Carbonara era buona. Vai". E mi licenziò con un gesto ampio e volitivo, e un accenno di sorriso sul volto arcigno. Un raggio neuronale mi dissolse in particelle elettromagnetiche e mi ricostruì nello stesso momento nello stesso luogo, al freddo di una notte nebbiosa, in Lomellina. Cambiato ma vivo. Giusto in tempo per accendere il Mac, e tornare qui per raccontarlo.  

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