Attualità

Il Sabato del Villaggio | Naturalmente scomodo.

pubblicata il 04.05.2013

Può capitare di impallinarsi di arte contemporanea: quella che si ferma un minuto prima dell'installazione. Incontri un qualche visionario, un critico dal vocabolario flamboyant, un fotografo immaginifico, un gallerista squinternato. Cominci a frequentare gli studi, le mostre le fiere. Poi ti accorgi che c'è un dress-code, ed anche una specie di linguaggio corporeo non codificato ma normato. Che se vuoi essere un artista devi fare l'artista e vestirti da artista, pettinarti con il Kalashnikov, tenere su gli occhiali scuri anche di sera e metterti in un angolo e non parlare con nessuno, al massimo rispondere sgarbatamente con frasi definitive. Aforismi tellurici. Paralipomeni sulfurei. Ma a guardare, a guardare non è che puoi mettere su un abituccio e via. Devi andare con il tabarro su pantaloni di velluto a coste, cappello a larghe tese, toscano biascicato, pedule rosicate. Poi ti fermi ad una distanza giusta, misurabile con la sezione aurea. Ti prendi il mento tra pollice e indice e pieghi la testa di lato, ostentando la ricerca del giusto punto di vista. Annuisci in silenzio, mimando profonda comprensione. Solo così ti parlerà il gallerista, il critico non inciamperà nei tuoi piedi, e - forse - l'artista ti regalerà una delle sue deiezioni verbali. Poi smetti. La chiamano la strategia dell'atteggiamento, in contrapposizione alla strategia del carattere. Tipo essere ed apparire. Per dire, se suoni chitarre metalliche in un gruppo metallico, mica puoi presentarti con la Lacoste: devi andare con maglie nere con scritte escatologiche, anfibbi, cinture alte quattro dita. E ovviamente tenere su gli occhiali scuri anche di sera e metterti in un angolo e non parlare con nessuno. Se dici che fai il viaggiatore, non puoi viaggiare in prima: devi salire su pulmann a rischio della pelle ad ogni curva per le strade di Quito; pickup smantellati sui tornanti della Roccia D'Oro in Myanmar; feluche dissestate ad Abu Simbel; treni di terza classe a Varanasi. E devi avere i sandalia ai piedi, con o senza calzettoni; backpack da 112 libbre; barba fatta l'ultima volta nel '32; magliette con buchi. Altrimenti sei un turista. E la parola va pronunciata con un alto tasso di salivazione, sputazzando tutt'attorno come in preda ad un profondo ribrezzo. Gli occhiali scuri servono sempre, ma conviene parlare. Poco ma parlare. Atteggiamento. Apparire. E tutto viene spennellato di una patina ideologica, che condisce tutto e tutto giustifica: sai, mi mescolo tra la folla. Sai, il rock è uno stato dell'essere. Bevo vini naturali, con grande piacere, passione, e curiosità anche se non mi piace chiamarli così: ma non abbiamo ancora trovato altro modo. Però questa cosa che sta tra l'ideologia e l'atteggiamento mi fa riflettere molto: che se vuoi bere vini naturali devi stare scomodo. In piedi, sputare nel secchio, annusare oltre al Pigliatello Rosso in purezza senza solfiti che hai nel bicchiere anche l'ascella senza solfiti del vignaiuolo, o del suo amico mezzo 'briaco. Ho letto tante cose questa settimana, sull'onda di Sorgente del Vino a Piacenza: dove tra l'altro ho infilato una delle più interessanti serie di assaggi degli ultimi seicento anni. Alcune le riporto senza commenti, perchè sono anche senza autore: mi sono rimaste appiccicate ai polpastrelli leggendo qua e là, e non sono abbastanza tennologgico per ritrovarle. Mi scuso con gli interessati per l'approssimazione, ma si sa: noi di internet non controlliamo le fonti. Per bere vini naturali occorrerebbe una manifestazione più naturale (tipo: nei boschi?) Per bere vini naturali va messa in conto una certa scomodità (affermazione misteriosa. se bevo un naturale dentro un fumoir Frau è più cattivo?). Per bere vini naturali non ci vogliono i tacchi (perchè si impiantano nel fango?) Per bere vini naturali bisogna azzerare il fenomeno dell'antropizzazione (tipo abbattere tutti gli esseri umani nel raggio di cento metri?) Stigmatizzo l'atteggiamento "da vini naturali": che devi avere un maglionazzo, le scarpe da montagna, e possibilmente anche un po' di afrore di cavallo. Biasimo la precondizione secondo la quale i vini naturali presuppongono una particolare messinscena. Poi certo, i baracconi con le luci strobo e le miss con le mini da 20 centimetri non ce le vedo: ma visto che di carattere ce n'è tanto in campo - anche senza tirare fuori le sofferenze del nonno - di ragazzi che lavorano con fede & speranza ce n'è bizzeffe, dateci quello. Il carattere. L'atteggiamento possiamo lasciarlo a quelli del multilevel marketing.

Condividi

LEGGI ANCHE