Attualità

Il Sabato del Villaggio | Fish'n'cheap

pubblicata il 11.05.2013

Abomino l'approccio numerico alla vita, ma sono del tutto schiavo delle numerosità. Detesto la stessa ontologia del collezionismo, ma mi piace l'abbondanza. Prima che i Dischi Compatti fossero superati dagli eventi - riuscendo ad avere vita più corta anche dei Long Playing - avevo il sogno nemmen tanto ascoso di lasciare alla mia bimba allora piccola una discoteca di 10.000 albi Fondamentali Della Storia della Musica Umana (e Disumana) da completare entro il suo diciottesimo compleanno. Non una collezione: non mi fregava nulla delle edizioni originali limitate stampate con il sangue stesso dell'Artista. Ma il pezzo sì, da poter cercare, trovare e frullare nel lettore alla bisogna. Non mi sarei mai sognato di spendere 24 euri per una Original de Luxe Limited Edition Bonus Track Extra Special Contents con copertina in vimpelle se ne potevo spendere 12 per un banalotto diamond box. La sostanza è la stessa. Così mi piaceva aggiungere l'insegna di qualche ristorante importante nuovo ogni anno, centellinando le uscite e i festeggiamenti: il primo stipendio in banca da Chiappini Dattilo, la prima auto aziendale (sic) al Sambuco quando era a Bologna, il Primo Contratto da Un Miliardo al Trigabolo ad Argenta. Mi piaceva ravanare nella scatola di Cohiba in cui tenevo i biglietti da visita e vederne tanti. Non ho mai avuto ansie completiste, ma l'idea di provare, prima, poi pallare mi soddisfaceva completamente. Quindi già allora, nel diciannovesimo secolo, ero uno fastidioso da invitare: rinunciavo volontieri a 3 o 4 cenazze un tanto al chilo stile "mangi molto spendi poco" per offrirmene una alle Maschere, da un giovine Fusari. O per farmi maltrattare al telefono da Fulvione Pierangelini "Le ho detto che la richiamo io, la richiamo io" a San Vincenzo. E' finita. Più passa il tempo, più consumo nerofumo vulcanizzato sulle strade italiane più mi accorgo che questa idea della conoscenza, dell'esperienza, è tramontata. Relegata nemmeno troppo velatamente ad una forma di onanismo papillare riservata a qualche nostalgico dell'Età dell'Oro. Una forma di appagamento sensoriale che per qualche strano motivo non riesce a godere dell'approvazione sociale. Spendi 200 yuri per la poltronissima alla Scala per Un bel dì vedremo, e sei un melomane raffinato, un fine esteta, un colto intelletto e uno spirto alato. Spendi 200 talleri da Crippa a manducare erbette e sei un orrido crapulone smembratore di patrimonii familiari, dissoluto edonista o effimero gaudente. Oggi s'affaccia una nuova figura: caratterizzata da tutti i sintomi della normalità, ma che ha voglia di uscire. Di non stare in cucina. Di non fare la spesa, di non lavorare, di non pensare. Allora la nuova richiesta non è più del Menù Degustazione Definitivo, ma un paio di piatti semplici, e soprattutto poco costosi. Possibilmente leggeri. Possibilmente dietetici. Possibilmente socialmente spendibili. Venti, Venticinque pleuri per un antipastino, una minestra o un secondo e un dolce in due. Un'ora di tempo, poche fisime, un bicchiere di vinella di vascello, senza saponi che smandrappano il bicchiere, e a casa. Oppure - fenomeno di recentissimo conio - la pizza da asporto che sta vuotando le pizzerie (di provincia). Risparmio dieci euri per le stesse pizze, le mangio nei cartoni e non lavo i piatti, la birretta cellò in frigor, adieu. La soluzione? Difficile. Se sei "alto" e vuoi uscire "basso" rischi di sprezzare gli altospendenti (oddio, questa parola mi causa sempre una vertigine). Se crei delle formule vantaggiose, i newcomer si sentono emarginati. Come i grupponisti, migranti della gola. E poi a noi non ci piace essere ingabbiati in una formula. Basta intervistare un paio di ristoratori per sentirvi raccontare le interpretazioni italianesi del "menù uguale per tutto il tavolo". E se il conto della spesa tocca le attuali quotazioni missilistiche, quasi conviene mangiar fuori: faremo tutti come i cinesi delle grandi città che non hanno la cucina in casa: con quello che costa ci si pagano mille pasti all'osteria. Cucinate, gente, cucinate.

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