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Il Sabato del Villaggio | 5 ingredienti che saranno presto dimenticati

pubblicata il 01.02.2014

Vita alta o vita bassa? Quando le ragazze hanno iniziato ad indossare i ginz ascellari ci siamo dimenticati delle zampe d'elefante e degli ombellichi al vento. Poi sono tornate le vite basse, e ci siamo dimenticati le salopette. Che vuoi farci, il bisogno d'appartenenza è l'urgenza più critica di ogni società a crescita zero emendata dalla fame: e quindi bruciamo tutte le zampe d'elefante per quelle sigarette quattro dita sopra la caviglia, almeno fino alla prossima primavera.
Succede anche in cucina, quando ci sediamo ed il maitre assumendo una espressione serafica avvia il tormentone della lunga cottura, 36 ore, a bassa temperatura, 36 gradi, ma sottovuoto. E non t'azzardare a chiedere se per mantenere quella temperatura lo chef ha tenuto la bistecca sotto la scella per tutto quel tempo, sarai immediatamente lapidato a forza di tartufi bianchi, ma d'Acqualagna. Solo i più anziani ricorderanno i menù in cui veniva sferificata anche l'acqua minerale, e solo i più saldi in memoria ricorderanno quelle alluvioni di arie, spume e schiume. Ora siamo a stento usciti dalle antifone di diminutivi e dalla litania dei patronimici che ci troviamo tuffati nella smanie dell'orto. I cuochi che vanno a camminare nei boschi brumosi e coltivano amorevolmente le loro presine di cipollotti.
Ecco alcuni ingredienti di cui presto sentiremo la mancanza: ci hanno accompagnato negli ultimi mesi come nutrici, onnipresenti in Case e Cucine di ogni ordine e grado, ma verranno presto obnubilati dalla penombra dell'oblio, come una rucola qualsiasi.
1. La pancia di maialino. Immagino che questi maialini siano deformi: cuccioli di maiale che però hanno ventri smisurati, con tutta quella pancia in giro, tanto che ormai le razze vocate vengono chiamate "maiali da pancia". Rigorosamente cotta a bassa temperatura per mille ore, rigorosamente con la cotenna croccante, rigorosamente presente in tutti i menù verrà probabilmente dichiarata illegale prima del 2015.
2. La rapa rossa. La barbabietola che mangiava solo la nonna e che tutti noi avevamo in uggia, è comparsa prima timidamente poi con prepotenza anche in forza della sua potenza decorativa: quel colore rosso ha una valenza grafica così decisa che le maggiori industrie di articoli per scrittura hanno lanciato la linea "Inchiostro di rapa" per biro rosse.
3. Il Topinambour. Fino a pochi anni fa era usato solo per torturare gli apprendisti durante la gavetta: pulire il bitorzoluto tubero è una delle cose più noiose che si possano fare in cucina, assieme alla diliscatura delle triglie di scoglio e seguire i programmi di Benedetta Parodi. Lo abbiamo assaggiato in chips, in trucioli, in succo, zuppa, purè, crema, bollito, svaporato, brasato. Alcuni cuochi stanno cercando di arrostirlo direttamente con la fiamma ossidrica, ma compiuto questo ultimativo esperimento scomparirà dai menù.
4. I germoglietti e i fiorellini. Nel secolo scorso c'erano due o tre locali nel mondo che curavano erbe officinali antiche, prese di angelica arcangelica, selezioni di fiorellini commestibili. Ora mi sono trovato i germogli di sedano nel panino al prosciutto della stazione di servizio. Il fiorista sotto casa mia ha cambiato il tradizionale cartello con una nuova esposizione di varietà edibili con il seguente pay-off "MANGIATELO CON I FIORI". Pare che alcuni passanti si siano fermati a percuoterlo con gambi di girasole.
5. La fava Tonka. All'improvviso ha soppiantato nell'immaginario collettivo la biblica fava di Aronne, tanto che pare che alcuni parroci di campagna l'abbiano maldestramente inserita nelle loro omelie. La voce non è confermata, ma si rumoreggia che l'industria cosmetica, principale utilizzatrice della pregiata spezia, stia preparando aggressive iniziative di mercato per accaparrarsi le esigue quantità prodotte con campagne pubblicitarie tese ad enfatizzare le proprietà afrodisiache della fava. Già.

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