Attualità

Pagine da Mangiare | Dolcezze per niente ordinarie

pubblicata il 09.01.2013

Se un romanzo si compone di nove capitoli, e nelle primissime pagine una delle protagoniste informa un'altra di aver iniziato una gravidanza, si può facilmente immaginare come andrà a finire. In Questioni per niente ordinarie, secondo romanzo della scrittrice statunitense Jenny McPhee, però, i fili che si intrecciano nelle vite di due sorelle sono molto più numerosi di una semplice nascita attesa. Tra Lillian - una eccentrica neurologa, alta, bionda, di straordinaria bellezza - e Veronica, riservata sceneggiatrice di soap opera, rimangono questioni in sospeso sia dal passato di famiglia (che non è poi così prevedibile come potrebbe sembrare a prima vista) sia dalle perenni trasformazioni delle loro vite attuali. Le sorprese si susseguono, pagina dopo pagina, anzi: si incastrano una nell'altra, con effetti vertiginosi, come in un musical hollywoodiano. Non mancherà il lieto fine, ma per arrivarci, proprio come nei musical, si dovranno imboccare sempre i percorsi più tortuosi e inaspettati. Rimane, al centro di tutto, un punto fermo: Veronica e Lillian si ritrovano, ogni primo lunedì del mese, in un caffè di Manhattan. Il locale - l'Hungarian Pastry Shop - esiste davvero, anche se forse non proprio soffuso della penombra e dell'atmosfera bohémienne attribuitegli nel romanzo. Qui le due sorelle s'incontrano, conversano più o meno animatamente, confrontano silenziosamente quello che ciascuna delle due sa - o pensa di sapere - dell'altra. Sul tavolino di fronte alla refrattaria Lillian non c'è mai altro che un caffè nero. Talvolta un croissant. Veronica, invece, la sorella solare, ordina sempre con entusiasmo i dolci più fantasmagorici della tradizione mitteleuropea, accompagnati da caffè con panna montata. Da un capitolo all'altro la vediamo alle prese con un hamantasch (un involto di pasta ripieno di prugne e semi di papavero), uno strudel di ciliegie e formaggio, gelatinoso e di un bel rosso brillante, una fetta di goosefoot (torta alla crema e cioccolato) o di zserbo al miele (una torta ungherese simile alla Sacher), una ciambella aperta impastata di mandorle, un dolce di burro e marzapane di color fucsia. Progressione che Lillian contempla con spazientito disgusto: preparazioni sature di zuccheri, che non può trattenersi dall'immaginare condite dal sudore della fronte di una massaia grassa e incline ad osservazioni taglienti. Chi legge resta invece affascinato: sono pasticcini o torte variopinti e dai sapori multipli ed esotici, tanto avventurosi quanto si mostra invece d'abitudine cauta, ma non timida, Veronica, che pure li mangia con convinzione. È un romanzo di scoperte e di trasformazioni, dove praticamente ad ogni pagina qualcuno o qualcosa si rivela diverso da come appare, e le più improbabili circostanze si dispongono come in un caleidoscopio a formare nuove benvenute combinazioni. Per quante differenze possano esserci tra le due sorelle, il vero filo conduttore della storia rimane il legame fra Veronica e Lillian: fortissimo, imprevedibile negli scambi di atteggiamenti fra ottimista e scettica, tra coraggiosa e titubante o tra convenzionale e spregiudicata. Arrivate all'ultimo appuntamento al caffè, prima della nascita che conclude il romanzo, Veronica ordina un piatto di petit fours dai colori improbabili, fluorescenti. E non è certo per gola, ma per confermare ancora una volta la reciproca affinità a dispetto di tutto (genetica compresa), che Lillian ne mangia uno anche lei. Finalmente.

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