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Colatura di alici di Cetara: il gusto della tradizione

pubblicata il 09.01.2024

Da condimento per piatti caserecci a ingrediente apprezzato e ricercatissimo: la colatura di alici è una salsa dalla lunga storia, da poco tornata protagonista delle nostre tavole. In questo articolo ne parliamo diffusamente, grazie anche all’intervento di Gennaro Castiello, produttore e ristoratore di Cetara

Ai tempi dei Romani c’era il garum, una salsa a base di pesce fermentato, erbe aromatiche e sale. Indispensabile in cucina, veniva usato per insaporire ogni pietanza, dalla carne al pesce, dai cereali alle verdure e ai legumi. In commercio se ne trovavano di diversi tipi, a seconda dei pesci utilizzati ma anche della qualità: nelle sue versioni più pregiate costava non solo più del vino, ma anche più di profumi e cosmetici.

Solo attorno al XIII secolo, per iniziativa dei monaci di una canonica sorta nei pressi di Amalfi, il garum fu sostituito da un prodotto più semplice da realizzare, ma anche più profumato e appetitoso: la colatura delle alici che si pescavano in abbondanza nel golfo di Salerno, e in particolare nel borgo di Cetara.

Da allora a oggi, poco è cambiato: la salsa si fa ancora artigianalmente, come da tradizione, e conserva quel sapore unico e deciso che le ha permesso di attraversare i secoli e giungere intatta fino a noi.

Che cos’è e che gusto ha la colatura di alici?

La colatura di alici è una salsa liquida e trasparente, caratterizzata da un bel colore ambrato, che può tendere al mogano. Ha un profumo salmastro e persistente e un gusto forte, sapido, di umami intenso.

Come si ottiene la colatura di alici?

Il procedimento parte ovviamente dalla materia prima, le alici, pescate fra fine marzo e luglio nel golfo di Salerno con motopescherecci che riproducono le antiche lampare.

I pesci vengono privati della testa ed eviscerati a mano, poi disposti in strati alternati con sale grosso in una piccola botte di rovere. Il terzigno, questo il suo nome, viene chiuso con un coperchio sul quale si posano pesanti pietre marine che fanno da pressa.

La maturazione delle alici produce un liquido, gelosamente raccolto man mano che affiora e conservato in grossi recipienti di vetro. L’esposizione al caldo sole estivo, per un periodo che si aggira intorno ai 4-5 mesi, elimina l’acqua in eccesso e lo rende concentrato al punto giusto.

A questo punto, come ultimo passaggio, il liquido viene versato di nuovo nel terzigno e cola fra le alici, insaporendosi a puntino. Una volta raccolto e filtrato tramite teli di lino, per renderlo ben limpido, è finalmente pronto per essere utilizzato.

Come si usa la colatura di alici in cucina?

Gli spaghetti con la colatura di alici sono forse il piatto più celebre con cui gustare questa salsa e apprezzare a pieno la sua sapidità – il sapore viene ancora più esaltato dall’abbinamento con limone e finocchietto. Un tempo era un primo povero, un ripiego per coloro che non si potevano permettere di comprare il pesce; oggi è a tutti gli effetti un piatto da chef, che però si può preparare facilmente anche a casa e che regala senza dubbio un’esperienza sensoriale unica: provare per credere!

La colatura di alici è anche perfetta per insaporire piatti a base di verdure, come broccoli o spinaci e bietole saltati in padella; inoltre, c’è chi la aggiunge alle bruschette o alle uova.

Quanto costa la colatura di alici?

La colatura di alici è una salsa molto salata e concentrata: ne bastano poche gocce per esaltare il sapore di ogni piatto. Per questo, viene solitamente venduta in bottigliette da 100 ml il cui prezzo in media si aggira sui 10-15 euro, per i prodotti di uso quotidiano, fino ad arrivare a 50 euro o più per quelli di alta qualità.

Gennaro, suo cugino e la colatura di alici

Proprio la qualità è il punto fermo dell’attività di Gennaro Castiello e Gennaro Marciante, due cugini di Cetara che hanno iniziato a occuparsi della colatura di alici quasi trent’anni fa.

«All’inizio degli anni Novanta, era un prodotto esclusivamente locale. Fuori dalla nostra zona non la conosceva nessuno: solo quelli che avevano un amico cetarese che gliene mandava una bottiglia per Natale» racconta Gennaro Castiello. «Ma io e mio cugino ci eravamo messi in testa di investire professionalmente in questo settore, perché eravamo convinti – e lo siamo tuttora – che la colatura sia non solo un prodotto straordinario del nostro territorio, ma la testimonianza di una tradizione che dura da millenni e che non può e non deve essere dimenticata.»

Una scelta dettata dalla passione e dalla consapevolezza che, con il cibo, si possono raccontare storie e trasmettere emozioni. «Non era certo una questione di guadagni: all’inizio era già tanto se riuscivamo a pagare i debiti!» continua. «Nel 1994 abbiamo aperto il nostro ristorante, Acqua Pazza, a Cetara. All’epoca era una stanza di 30 metri quadrati che conteneva tutto, la cucina e i tre tavoli dedicati agli ospiti. I nostri piatti? Tonno, alici, spaghetti con la colatura di alici. Il “made in Cetara” e basta. Non avevamo proposte turistiche o ammiccanti perché, più del consenso, ci interessava tener fede alla nostra identità. Ci sono stati momenti difficili, in cui abbiamo pensato di cedere alle richieste dei clienti anziché incaponirci sulle nostre posizioni. Ma eravamo consapevoli di avere una missione.»

Poco per volta, i due Gennaro sono riusciti a farsi conoscere. Il ristorante, nel corso degli anni, è molto cambiato: oggi ha una quarantina di coperti, una cucina spaziosa e accessoriata, una sala per laboratori e show cooking. Il menu, invece, è rimasto essenziale: pochi piatti, ma di grande personalità. La protagonista, ovviamente, è la colatura di alici. «La teniamo sul tavolo, al posto del sale, e spieghiamo ai clienti che possono usarla per insaporire qualunque piatto: pesce, verdure, legumi. È un po’ quello che, nel campo della moda, si dice del colore nero: la colatura va su tutto!»

La colatura dell’Acqua Pazza Gourmet

«Quando abbiamo aperto il ristorante, ci è venuta l’idea di commercializzare la colatura attraverso un nostro marchio, Acqua Pazza Gourmet. Abbiamo lavorato duramente per mettere su la prima azienda e anche in questo caso ci sono stati diversi ostacoli da superare. Uno fra tutti: la ricetta che usiamo ci è stata tramandata dai nostri nonni, dai vecchi del paese, e quindi è piena di approssimazioni e di “quanto basta”. Ancora oggi, provare a migliorarla e a renderla più precisa per noi è una sfida.»

Ma che cos’ha di speciale la colatura di alici dell’Acqua Pazza? Quali sono le sue caratteristiche peculiari? «Usiamo solo alici del golfo di Salerno, a mio parere le migliori per la colatura. Una volta pescate, le portiamo subito in laboratorio (l’alice è un pesce molto delicato, infatti dalle nostre parti si chiama “la signorina dei mari”). Una volta eviscerate, le mettiamo a maturare, alternate con strati di sale proveniente dalle saline di Trapani, in botti di castagno, e lì le lasciamo in media per 18 mesi. Dopo avere verificato la sapidità imbottigliamo la salsa, che a questo punto ha assunto un retrogusto amabile, pieno e leggermente affumicato per via dello scambio con il legno.»

Un dato che fa riflettere sul valore del prodotto: da una botte con 50 kg di alici, si ottengono non più di 5-10 litri di colatura.

Uno sguardo verso il futuro

Oggi la colatura di alici è un ingrediente molto richiesto e apprezzato. In che modo questa attenzione influenza il lavoro dei produttori? «Per quanto ci riguarda, abbiamo senz’altro allargato il giro di clienti, in Italia e all’estero. Ma non ci sentiamo arrivati: siamo ancora in cammino e abbiamo una gran voglia di continuare a divertirci sperimentando abbinamenti e soluzioni inedite. Un esempio? La cioccolatura, praline alla colatura di alici. La gente storce il naso quando ne parlo, ma di solito, dopo averle assaggiate, cambiano idea. Abbiamo impiegato diversi mesi a trovare dosaggio e procedimento giusti, ma ora siamo soddisfatti. Lo stesso vale per il gen tonic (non è un errore: “gen” sta per Gennaro!), rivisitazione del noto cocktail con una puntina di colatura. Anche questo è da provare!»

«La nostra ricerca, però si muove su vari fronti: ci interessa molto anche il riutilizzo delle materie prime» continua Castiello. «Mi spiego meglio: dopo i 18 mesi di maturazione, e dopo la raccolta della colatura, le alici nelle botti sono da buttare. O almeno, questo è ciò che finora è stato fatto. Ma è davvero così? O forse invece c’è qualcosa che si può ancora salvare? Per vederci meglio, abbiamo un progetto con un istituto di Parma specializzato in nutrizione, nella speranza di limitare i rifiuti e trovare una più ottimale gestione delle risorse. L’amore per il territorio passa anche da qui.»

Non solo una pietanza: la colatura di alici è una storia, il punto di incontro fra passato e futuro. È una piccola gemma che arricchisce i piatti di ogni giorno, in un turbinio di sapore ed emozioni; una spremuta di mare e passione, che merita ben più di un assaggio.

Manuela Mellini

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