Carne avariata riconfezionata e venduta ai supermercati: che succede in Francia?
Secondo le accuse, i dirigenti di Castel Viandes avrebbero usato carne andata a male per continuare a fare affari, modificando le date di scadenza e i risultati delle analisi. Storia di una storia che ci insegna a stare sempre attenti.
Il 5 maggio, in Francia è iniziato un processo molto importante e atteso da oltre un decennio: era il 2008 quando Pierre Hinard, all’epoca responsabile Qualità di Castel Viandes, un’azienda di macellazione delle carni di Châteaubriant, decise di sollevare il velo su uno scandalo che riguardava il suo datore di lavoro. Che (questa è l’accusa) avrebbe riconfezionato, rietichettato e poi venduto lotti di carne scaduta, avariata e in alcuni casi pure contaminata con vermi e batteri come quello della salmonella.
Hinard è quello che in gergo si chiama “whistleblower”, una fonte interna che spiffera (whistle, in inglese) alla stampa informazioni riservate: come Edward Snowden o come Frances Haugen, che l’anno scorso rivelò alcuni segreti su Facebook. Come loro, anche Hinard ha ovviamente perso il lavoro e fatto di questa storia la sua ragione di vita: ha scritto un libro e aperto un blog (https://www.pierrehinard.com/), attraverso il quale è possibile ricostruire le tappe della vicenda, di cui da noi si è storicamente parlato sempre poco (con qualche eccezione, come quella di greenme.it).
McDonald’s Italia: “La nostra carne è solo italiana”
Perché nel nostro Paese di questo caso ci si è occupati poco? Perché (per fortuna) riguarda prevalentemente la Francia, i consumatori e i punti vendita francesi, e perché quella carne avariata non sarebbe mai arrivata in Italia. E allora perché se ne parla adesso? Perché è un buon esempio di quello che non dovrebbe essere fatto nel processo di lavorazione e produzione degli alimenti, perché qui (se le accuse saranno confermate) non c’è colpa, ma dolo. Il punto è che questo caso è diverso da quelli delle bufale malate di brucellosi o degli Ovetti Kinder: qui c’era evidentemente l’intenzione di fregare il prossimo e di agire in modo disonesto. Ed è giusto e opportuno che se ne parli.
Come Hinard ha raccontato negli anni, e come nel tempo hanno riferito quotidiani francesi prestigiosi come Le Monde (qui un pezzo del 2013, quando il caso divenne di dominio pubblico) oppure anche Le Parisien, Castel Viandes, che ha sede nella regione della Loira, avrebbe usato la carne andata a male invece di disfarsene, creando nuove confezioni su cui venivano stampate nuove date di scadenza e anche avrebbe manomesso i risultati delle analisi batteriologiche e falsificato i documenti di tracciabilità. Successivamente, questi prodotti sarebbero stati poi rivenduti a catene della grande distribuzione, come Auchan, Carrefour e U. E pure a McDonald’s.
Noi abbiamo contattato la sede italiana del colosso americano del fast food, forse il nome più noto fra quelli coinvolti nello scandalo, da dove hanno voluto sottolineare con fermezza che “questa vicenda non ci riguarda”, perché “la carne che usiamo nei punti vendita italiani è di provenienza esclusivamente italiana”. Ed è così “almeno dagli anni Novanta”, dunque da ben prima che questo caso diventasse noto.
Il processo e le richieste dell’accusa
Castel Viandes, che è ancora operativa, rischia grosso: secondo quanto riportato dagli organi di stampa francesi, il pubblico ministero ha chiesto il pagamento di una multa da 100mila euro per l’azienda e anche 12 mesi di carcere e una multa da 15mila euro per l’amministratore delegato; per altri due dirigenti è stata invece chiesta la detenzione per 4 e 6 mesi e una multa da 3mila e da 5mila euro.
La sentenza è attesa entro il 30 giugno, mentre Hinard, che oggi ha 57 anni e di recente ha raccontato che “questa storia mi ha rovinato la carriera”, ha chiesto la cancellazione del suo licenziamento e il reintegro sul posto di lavoro.
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