Attualità

Ma davvero stiamo mangiando pomodoro cinese?

pubblicata il 15.10.2015

La faccenda risale a qualche tempo fa. Lo scoop e la successiva petizione hanno fatto in fretta il giro del web e dei canali di informazione. Sto parlando del servizio di Nadia Toffa andato in onda durante la trasmissione televisiva Le Iene. In breve: la Toffa ha fatto un giro in Cina per svelare alla nazione intera da dove, secondo lei, arriva il concentrato di pomodoro che viene poi utilizzato per la passata che troviamo sugli scaffali dei nostri supermercati. Secondo il servizio il concentrato di pomodoro prodotto in Cina, zeppo di pesticidi vietati in Europa, spesso marcio e con i vermi, magicamente si trasforma in passata Made in Italy. Il servizio terminava con la richiesta al Governo italiano di fare qualcosa e ripristinare il vero Made in Italy. Chiosa che poi si è trasformata in petizione on line che a oggi ha raccolto quasi mezzo milione di firme.

Ci ha pensato poi la Coldiretti a rincarare la dose: secondo quanto diffuso dalla nota associazione di categoria le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina sarebbero aumentate del 520% nel 2015 con la previsione di raggiungere entro fine anno i 90 milioni di chilogrammi, pari a circa il 10% della produzione italiana. Tutto concentrato di pomodoro che poi viene diluito e poi utilizzato per sughi e ketchup, visto che su quei prodotti non vige l'obbligo di indicare in etichetta la provenienza delle materie prime utilizzate. Perché la passata, per legge, può essere prodotta solo con pomodoro fresco, ed è l’unico derivato del pomodoro dove è obbligatorio attualmente indicare la provenienza delle materie prime.

Nella faccenda è intervenuta anche la Anicav, la più grande Associazione di rappresentanza delle industrie conserviere italiane. Netta e tranciante la dichiarazione del suo presidente Antonio Ferraioli: “Passate, polpe e pelati rappresentano il 98,5% dei pomodori che arrivano sulle nostre tavole, ed è tutto italiano. In Italia il consumo del concentrato è solo l’1,5% di tutti i derivati. Chi afferma il contrario è in malafede”. Secondo Anicav il concentrato di pomodoro cinese arriva in Italia solo per essere lavorato e trasformato in prodotti destinati al mercato estero, Africa in primis. Il concentrato arriva in un regime doganale particolarmente favorevole chiamato temporanea lavorazione. Tale procedura prevede che il pomodoro sia rilavorato in Italia e poi immediatamente importato. La regola vuole che la quantità che entra sia la stessa che esce dal nostro paese. Il tutto dietro il controllo della Guardia di Finanza, delle Dogane e delle autorità sanitarie.

Risposte rassicuranti, quindi, dall'industria, che però non risolvono un problema ormai annoso: quello della provenienza delle materie prime nei prodotti lavorati o semilavorati che arrivano sulle nostre tavole. In realtà i tentativi da parte dei vari governi del passato di rendere obbligatoria in etichetta la provenienza sono almeno un paio, sempre passati in Parlamento con una larga maggioranza bipartisan. I provvedimenti però si sono sempre trovati a scontrarsi con la normativa europea, che prevede l'obbligo di indicare la provenienza solo per un piccolo gruppo di prodotti. Alcuni passi avanti sono stati fatti, come la recente introduzione dell'obbligo di indicare il luogo di allevamento e di macellazione delle carni di maiale, capra e pecora, come già avveniva per quella bovina. Ma resta ancora l'indicazione facoltativa in prodotti come il riso, la pasta, la carne equina, lo zucchero e il succo d'arancia, solo per fare alcuni esempi.

La questione, insomma, sembra non dipendere da noi.

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