Attualità

Ricci | Lambic for dummies [Part I]

pubblicata il 15.11.2011

La cosa più divertente è quando ti chiedono delucidazioni e tu, preda di un certo sadismo terroristico, poni l’accento sull’estrema acidità, a volte acetica, e inizi a snocciolare gli off-flavours: sangue, pelle di maiale, stalla, crosta di brie, lingua salmistrata, carte da gioco usate… Omettendo ovviamente che tutto questo, insieme ad altre cosucce più gradevoli combinate in maniera magistrale dalla natura e da un’esperienza ancestrale, possono regalare un’esperienza gustativa vertiginosa. Dico sul serio, massimi livelli. Certo, occorre arrivarci un minimo preparati, fiduciosi e consapevoli, lasciandosi alle spalle molte delle proprie inossidabili certezze gustative. Se ne parla sempre più spesso negli ultimi anni del lambic, anche in Italia dove abbiamo la fortuna di avere il massimo profeta mondiale, anche fuori dalle cripte birrarie, anche nei consessi vinicoli. Sospetto persino che sia un tassello fondamentale per quanti vogliano comprendere fino in fondo “l’estetica” dei cosiddetti vini naturali. IL lambic, mi raccomando, sostantivo maschile. Per qualche oscura ragione fonetica la maggioranza dei neofiti si rifugia istintivamente nel più rassicurante articolo femminile, la qual cosa, come si desume facilmente dal francese le lambic, è sbagliata. Aiutatemi anche voi a vincere questa battaglia di civiltà grammaticale. Le origini di questa bevanda, parente più prossima delle prime “birre” prodotte dai sumeri rispetto a qualsiasi altro prodotto brassicolo arrivato ai giorni nostri, si perde nei secoli ed arriva a noi, passando persino per i quadri di Brugel, pressoché immutata. Uso il termine bevanda non a caso: per quanto il contesto storico, culturale e geografico, le materie prime e le tecniche produttive siano sufficientemente affini a quelli delle “normali” birre, non trovo del tutto corretto catalogare il lambic come speciale tipologia di birra. Un lambic ha una sua identità specifica e univoca, un lambic è un… lambic! Il mosto prevede l’utilizzo in parti più o meno uguali di malto d’orzo e grano non maltato, come avviene ad esempio per la Bière Blanche o Witbier. Non aspettatevi però un risultato simile… L’utilizzo di luppolo è superiore a quello di una birra “convenzionale” in virtù del fatto che viene utilizzato luppolo invecchiato, che ha quindi perso gran parte delle sue proprietà amaricanti. Si cercano qui infatti le proprietà conservanti del luppolo, insieme a differenti profili aromatici e ad un leggero apporto di tannini. I sentori di crosta di formaggio a volte avvertibili si possono ricondurre proprio al processo ossidativo subito dal luppolo invecchiato. Ci sono, come sempre, delle eccezioni: produzioni o produttori particolari che utilizzano (anche) luppolo fresco (appurato coi miei occhi). E’ nel processo di fermentazione e di affinamento che risiede però la magia del lambic. Mentre la quasi totalità delle birre “moderne” si affida a ceppi di lievito selezionato per produrre la tipologia prescelta, la fermentazione del lambic è spontanea e avviene ancora in maniera naturale ed incontrollata, ad opera di lieviti selvaggi (la parte del leone la fanno i famigerati brettanomiceti), batteri lattici, batteri acetici, pediococchi ed un’intera compilation di altri terrificanti microrganismi (compresa la candida!). Non fatevi prendere dall'ipocondria: nonostante la presenza di questi discutibili animaletti al lavoro, il lambic è tutt’altro che tossico o pericoloso. Ne ho assaggiati svariati, anche di pochi mesi, e sono qua incolume a raccontarvelo… La leggenda narra (e non è una leggenda, è proprio così) che la magia del lambic sia legata indissolubilmente alla microflora presente nella sua zona di origine, il Pajottenland, sulle rive del fiume Senne, a sud di Bruxelles, e per questo il lambic sia irriproducibile al di fuori di essa. Uno dei pochi casi in cui ha senso parlare di terroir all’interno del mondo della birra. Certo, si possono produrre birre a fermentazione spontanea (anche eccellenti) in qualsiasi parte del mondo, ma non otterrete mai un vero lambic! Si racconta che fosse proprio nei campi di ciliegie di Schaerbeek, un tempo usate quasi esclusivamente per la produzione delle Kriek (una delle tipologie di lambic), che questi lieviti selvaggi prosperassero, ed oggi che l’ambiente è cambiato e queste coltivazioni non sono più diffuse come un tempo il delicato equilibrio di microrganismi sopravvive all’interno dei birrifici e si tramanda nelle botti usate per la maturazione. Motivo per cui i produttori più tradizionali sono restii a spostare anche una sola tegola all’interno dei loro fabbricati. Una volta prodotto il mosto (che ha caratteristiche differenti da quello delle normali birre), viene versato e lasciato raffreddare in larghe vasche di rame, dopodiché  viene lasciato “infettare” per una notte da questi organismi selvaggi presenti nell’aria. Il lambic viene quindi trasferito in botti dove la fermentazione, spesso irruenta nella fase iniziale, avrà modo di svilupparsi per uno o più anni. Le botti, molto spesso di provenienza vinicola, vengono riutilizzate numerose volte: vi si cerca, più che gli aromi propri del legno, le sue capacità di affinamento ed il perpetuarsi delle colonie di microrganismi coinvolte nelle varie fasi della fermentazione. Affinamenti special editions esclusi ovviamente. Il lambic è una bevanda che segue il ciclo delle stagioni: viene prodotto durante i mesi freddi, lasciando che il successivo alternarsi delle temperature garantisca la corretta staffetta fra gli improbabili microrganismi coinvolti nella trasformazione degli zuccheri presenti nel mosto. E’ un processo che richiede l’attesa legata ai tempi della natura, come ben evidenziato dal motto presente nella cantina della Brasserie Cantillon: “Le temps ne respecte pas ce qui se fait sans lui”. Attesa ampiamente ripagata da un prodotto dal profilo organolettico che può risultare spiazzante, ma dotato di un fascino unico, senza termini di paragone, e che negli esempi migliori proietta direttamente nell’olimpo delle bevande fermentate. Ne riparleremo. Immagine: Fesak/Flikr

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