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Alla scoperta della pizza alla pala di Crosta, dove la star è il lievito madre

pubblicata il 12.12.2022

Siamo stati nel laboratorio di Crosta, per vedere come viene realizzata la loro pizza alla pala e raccontarvi di questa bella realtà milanese portata avanti con passione da Giovanni Mineo e Simone Lombardi. 

La pizza alla pala è un modo di fare la pizza: si chiama così perché la pizza viene formata e infornata su una pala di legno o di metallo lunga e rettangolare, la stessa che usano i panettieri per il pane. Famosa per essere soprattutto di tradizione romana, la versione che vogliamo presentarvi viene invece realizzata a Milano, dalle mani di un siciliano che ama panificare, lavorare il legno e il cuoio e che sogna di diventare (anche) un falegname. No, non stiamo giocando d’azzardo, perché il prodotto di cui parliamo è la pizza alla pala di Crosta, locale ibrido tra bakery e pizzeria che in 4 anni di attività è diventato un punto di riferimento per tutti coloro che amano i lievitati artigianali, ma con brio.

E’ Giovanni Mineo, palermitano classe 1985, fondatore di Crosta assieme a Simone Lombardi, a farci da cicerone in questo viaggio alla scoperta della sua pizza alla pala: “Ci lavoro più o meno da 8-10 anni” ci dice subito con una parlantina appassionata ed entusiasta: “mi piace da morire mangiarla. L’avevo assaggiata e vista fare tanti anni fa e desideravo apportare delle modifiche per renderla - a mio gusto - ancora più buona. Mi sono messo a studiarne tutti gli aspetti: lievito, impastamento, cottura fino a quando sono arrivato a uno standard che mi soddisfaceva. Ne sforniamo circa 80/100 al giorno, 7 giorni su 7”. 

Come si riconosce una pizza alla pala perfetta

Per descrivere la sua pizza alla pala ideale, Giovanni mette in moto tutti i cinque sensi. Partiamo dalla vista: il colore è fondamentale. La superficie dev’essere dorata e lucida, non opaca. Quando ha una colorazione bruna a macchia di leopardo si capisce che la pizza ha avuto la giusta lievitazione. Vale anche per la parte inferiore, quella alla base, che non deve essere bianca. Al tocco, invece, è obbligatorio che scrocchi: quando si pigia leggermente con il pollice, le orecchie percepiranno un bel crock. All’assaggio ha una nota lievemente acidula, data dal lievito madre e un sapore buono di grano. In bocca si deve sentire il crunch della crosta sottile e immediatamente la scioglievolezza dell’impasto (un po' come ci aveva detto Ciro Salvo: "la vera pizza napoletana è buona se è scioglievole"). Un impasto che ha bisogno di molto lavoro e che vi facciamo scoprire.

Fase del rinfresco del lievito madre

Il primo passaggio è quello del rinfresco del lievito madre, ovvero l’ingrediente base dell’impasto di Giovanni. Si tratta di una fase delicatissima, come ci spiega, perché da qui dipendono sapore, consistenza e anche colore finale della pizza alla pala. Un lievito madre in salute è quindi il segreto di un impasto da 10 e lode.

Come si riconosce un lievito madre che sta bene? Ogni mattina, Giovanni e i suoi collaboratori controllano che abbia un colore chiaro, di un bianco tendente all’avorio e non giallognolo. Importante, poi, è annusarlo. Giovanni lo prende in mano con delicatezza, se lo porta davanti alle narici e aspira profondamente: “deve avere un profumo lattico, dolce, piacevole da odorare: un odore che fa venire l’acquolina in bocca!”.

Una volta constatata l’ottima salute del lievito, si taglia in piccole porzioni e si mette a mollo (in gergo “a fare il bagnetto”) in una vaschetta di acqua tiepida per pochi minuti: un’operazione che serve ad abbassarne l’acidità. Poi si afferra bene con entrambe le mani e si strizza con forza, al fine che perda molto liquido e si infarina leggermente. Viene subito messo all’interno di una macchina che lo impasta per 15 minuti. A questo punto lo si trasferisce su un piano di lavoro e lo si tira con il matterello, formando una specie di “lingua” di lievito che viene arrotolata su se stessa. Si mette in una boule e si fa lievitare per 3 ore e mezza, così da attivare la fermentazione. I movimenti di Giovanni e del suo staff sono veloci e coordinati, come una pratica rituale codificata ma che sa ancora affascinare sia chi la pratica e sia chi assiste.

Fase della preparazione dell'impasto

Comincia così la fase della realizzazione dell’impasto vero e proprio. Per 80 pizze alla pala si utilizzano in proporzione 2 chili di lievito madre e 40 chili di farina. Nello specifico, le farine usate da Giovanni sono una farina di grano tenero Marchigiano di tipo 0 e di tipo 2. Il lievito durante questa prima fermentazione è aumentato notevolmente di volume. Lo si taglia e lo si mette a tocchetti nella macchina impastatrice insieme all’acqua fredda e alla farina di grano tenero (e al sale, dopo 15 minuti). Sarà lavorato pazientemente dalle braccia meccaniche della macchina per un’ora, al fine di diventare molto elastico e molto idratato. Un dettaglio delicato di questo passaggio è il mantenimento della temperatura: l’impasto in condizioni ottimali non deve superare i 19°, pena la perdita della struttura proteica. Passati questi 60 minuti, si preleva l’impasto e lo si conserva in cella frigorifera: qui fermenta per altre 10 ore. Infine, si divide in palle da circa 1 kg ciascuna che lieviteranno ulteriormente per altre 10/12 ore.

Come si stende l'impasto e si inforna la pizza

La pizza alla pala ha una forma che la caratterizza: si tratta di un rettangolo lungo 60 cm e largo intorno ai 20-25 cm. Per ottenerla a regola d’arte, bisogna compiere dei gesti ben precisi. Dopo la lunga lievitazione i panetti di impasto hanno una consistenza molle, quasi “liquida”, per questo bisogna maneggiarli con molta cura: “L’importante adesso è agire con delicatezza, perché essendo una pizza fatta soltanto con il lievito madre ha una struttura molto delicata” ci dice Giovanni “per cui l’impasto una volta che si sgonfia non lo recuperi più.

Quindi, ecco come stendere il panetto lievitato senza fare danni: sul piano di lavoro l’impasto si espande facendo un movimento veloce e superficiale con i polpastrelli, che non affondano nella materia, ma la pizzicano, per distribuire in modo uniforme l’aria che la rende soffice. Una volta steso, l’impasto viene posizionato sulla pala con un particolare movimento, ovvero poggiando l’impasto prima sulla mano e parte dell’avambraccio destro e poi capovolgendolo, facendolo ricadere rovesciato sulla pala. Un dettaglio che può rovinare tutto? Quello di bucare l’impasto con il pollice: per ovviare al problema, il pollice deve essere “nascosto” tra le dita e il palmo, così da creare una linea continua di appoggio tra la mano e l'avambraccio. Ora che l’impasto è steso sulla pala si condisce con un filo d’olio extravergine d'oliva e si mette in forno.

Infornare un numero elevato di pizze alla pala al giorno significa anche dover far attenzione alla pulizia della pala, che deve essere sempre pulitissima, altrimenti i residui dell'infornata precedente potrebbero agganciarsi e rovinare il prodotto. Basterà quindi eliminarli con un raschietto e spolverare pochissima farina sulla superficie.

Come ci racconta Giovanni: “Ogni infornata è come giocare una partita diversa”. Perché i fattori da calcolare per la buona riuscita della pizza anche in questa fase sono tantissimi. Per esempio, per prima cosa ci si deve assicurare che il forno sia privo di residui di farina già cotta, quindi si passa sempre una scopa, pena una farina bruciata che dà all’impasto un’affumicatura non richiesta (e soprattutto non gradita). Per infornarla, si dà un piccolo colpetto alla pala in avanti perché si agganci sul piatto del forno e poi si fa scivolare l’impasto dalla pala. Appena pochi secondi dopo nel forno a 300° l’impasto inizia a formare delle bolle, che vanno immediatamente bucate con un uncino, per farle sgonfiare e “non far diventare la pizza una balena”. Dopo un paio di minuti si gira l’impasto, così da avere una cottura omogenea e si tira fuori. Durata totale? Può variare dai 4 ai 7 minuti.

La seconda infornata e la facitura

Si arriva così al momento del servizio. Dal laboratorio di produzione, le pale vengono trasferite nella cucina del vicino locale principale, dove si porzionano (solitamente da ogni pala se ne ricavano quattro) e dove subiscono un’ulteriore cottura per brunirsi e raggiungere la giusta croccantezza. A seconda del condimento, i passaggi in forno totali possono essere anche tre: per esempio, ci può essere un primo passaggio solo con la salsa di pomodoro e un secondo passaggio con la mozzarella, in caso sia prevista sciolta. A questo punto, la pizza alla pala è pronta per essere farcita in diverse combinazioni. Noi abbiamo optato per due versioni: una porzione di pizza tagliata in due triangolini stile sandwich e riempita di pastrami, maionese alla senape e cipolla caramellata e un’altra variante dove la base della pizza viene completata con stracciatella, prosciutto crudo stagionato 18 mesi e olio extravergine d’oliva.

Per conoscere meglio Crosta

Aperto nel 2018, Crosta unisce le anime di Giovanni Mineo e Simone Lombardi, che all’interno si dividono i ruoli: impasti di pane e pizza alla pala il primo, pizza tonda da degustazione e farciture il secondo. Entrambi guidano una bella squadra di 30 persone tra i due locali in cui si sviluppa l’attività: quello che possiamo definire come il ristorante Crosta (in via Bellotti 13), dove vengono accolti i clienti, venduti pane, brioche, torte da credenza e prodotti in stile bottega e il Crosta Lab (in via Melzo 5), il laboratorio in cui si preparano gli impasti del pane e delle pizze. 

Un locale che vuole essere un porto sicuro per il quartiere, dove tutto è curato nei minimi dettagli. Parola d’ordine? Artigianalità, e non solo per quanto riguarda i lievitati. Tutto all’interno di Crosta è fatto per creare connessioni tra artigiani, e basta dare uno sguardo in giro per capire: i tavoli del locale, per esempio, sono tutti pezzi unici, di recupero, realizzati da un falegname che ha utilizzato delle tavole di legno di una vecchia malga: “Si possono vedere ancora le ombre delle forme dei formaggi che stavano a stagionare”. Oppure l’icona di Crosta, un’illustrazione in formato XL che rappresenta Giovanni e Simone con i loro attrezzi del mestiere e tante storie da raccontare: “Nel poster ci sono il forno della pizza e quello del pane, c’è il Duomo di Milano con i campi di grano per ricordare il passato agricolo della città e c’è anche un gatto nero: Birba, il gatto di Simone, che è stato il nostro primo fan perché quando arrivavo a casa di Simo con il pane che preparavo Birba lo rubava sempre, ne era ghiottissimo”. 

Anche per la scelta delle materie prime utilizzate per impasti e farciture, Giovanni e Simone si affidano a contadini, allevatori, mugnai di tutta Italia senza passare per intermediari. “Il nostro lavoro viene vissuto a 360° nel mondo dell’artigianato, quindi tra persone che cercano di dare identità e valore a quello che fanno. Se vieni da Crosta sai che dietro a ogni prodotto c’è una persona”.

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