Attualità

I mangiapolenta

pubblicata il 07.11.2012

Virgilio Scapin la definiva il dorato mangiare dei poveri. È la polenta, l'alimento che ha svezzato e mantenuto in vita generazioni di contadini del nord, fra carestie e pellagra. E polenta è sinonimo di mais, che arriva a Venezia poco prima del 1500, dopo che Cristoforo Colombo ne parla di ritorno dal suo viaggio alla scoperta dell'America. Molto probabilmente vede queste piante per la prima volta in quella che oggi è l'isola di Cuba, ma l'origine dello Zea mays - questo il nome scientifico - la possiamo trovare in Messico, e risale a un periodo variabile fra il 2500 e il 5200 a.C. Dalla Serenissima, dove viene inizialmente coltivato come curiosità botanica, il mais penetra successivamente nel Polesine, in Friuli e nel Bergamasco, dove diventa il cibo rifugio durante le carestie del 1667-1668. Con la sua produzione di 840 milioni di tonnellate annue (dati 2010 della Fao) è il cereale con la maggior produzione mondiale, davanti a riso e frumento. In Italia ne produciamo circa 85 milioni di tonnellate, su una superficie di poco più di 970.000 ettari, quasi tutti al nord. Circa l'80% prende il canale dell'alimentazione zootecnica, mentre il restante 20% ce lo mangiamo noi. La tradizione della polenta impone l'utilizzo di varietà locali, entrate lentamente nel DNA del gusto degli abitanti del nord Italia. Troviamo quindi le rustiche farine di Storo o di Mais Sponcio in Trentino, per un gusto deciso e ruvido. In Veneto più apprezzate le varietà dolci e setose, su tutte il vicentino Mais Marano. In Piemonte famoso il Mais Otto File detto anche melia du Re, perché Re Vittorio Emanuele II ne era ghiotto. In Lombardia sono oltre 50 le varietà tradizionali coltivate, alcune recuperate di recente, come il Mais Spinato di Gandino. In Friuli ricordiamo invece il Mais di Carnia e il Mais di Resia, terra di elezione anche dell'introvabile aglio. Senza dimenticare le due curiosità della polenta bianca, fatta a partire dal mais Biancoperla e meravigliosa con le schie o con le seppie al nero, e la polenta taragna, che utilizza il grano saraceno e un'aggiunta finale di burro e formaggio. I puristi la vogliono tal quale: acqua, farina e mais, preferibilmente cotta sul paiolo di rame, e ancora più preferibilmente sulla stufa, al fuoco diretto della legna. La polenta si presta però a innumerevoli variazioni. C'è chi la predilige compatta e asciutta, chi più molle e cremosa. Una volta raffreddata si può abbrustolire sulle braci o sulla stufa, oppure - peccando molto - la si può friggere in burro e salvia, oppure direttamente nel grasso di spiedi o arrosti per un gusto più deciso. Un tempo finiva pure nel latte a colazione o a cena, oppure serviva da companatico da strofinare nell'aringa o nella sarda appese al centro della tavola. Numerose anche le aggiunte, dal burro al formaggio, dai fagioli alla carne, per una variante infinita di piatti tipici locali. Ce n'è davvero per tutti i gusti.  

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