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5 risposte chiare e definitive sul Parmigiano Reggiano: come si degusta, dove si produce e altre storie

pubblicata il 15.09.2022

Per diventare il Re dei formaggi è necessario avere delle caratteristiche precise, in continuità con una tradizione che ha inizio in ambiente monastico nel XII secolo e che, oggi come allora, ha come protagonista la sapienza dell’uomo.

A Napoli si aggiunge alla Margherita, una volta sfornata. Lo possono consumare gli intolleranti al lattosio, è perfetto per una colazione salata, soprattutto dopo lo sport. Ti salva in pausa pranzo se non hai tempo per uno stacco serio. È nutriente, sano e digeribile. Ingrediente fondamentale di molte ricette, è spesso attore non protagonista, ma fa la differenza. Sappiamo che il Parmigiano Reggiano è un’eccellenza della nostra tradizione gastronomica e forse uno dei formaggi più imitati all’estero, ma fermiamoci su 5 aspetti fondamentali di questo prodotto, da chiarire una volta per tutte. Ci servirà a capirlo e gustarlo con competenza, a esercitare la nostra attenzione e il nostro palato.

1. Dove si produce e perché si chiama così

Per ricevere la denominazione “Parmigiano Reggiano DOP”, il formaggio deve essere prodotto in quella che si definisce Zona di origine, ovvero nel territorio corrispondente alle 5 province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova alla destra del fiume Po e Bologna alla sinistra del fiume Reno (un’area che corrisponde circa a 10.000 Km2). “Deve essere prodotto” significa che da questo territorio deve provenire il latte (le stalle devono essere locali dunque), qui lo si deve trasformare in formaggio, deve stagionare fino a un periodo minimo di 12 mesi, deve essere confezionato e grattugiato; vale a dire deve avere luogo tutta la filiera di produzione: dagli ingredienti al pacchetto.

Per questo, quando acquistiamo il Parmigiano Reggiano DOP del Consorzio sappiamo che il latte è italiano e che il prodotto è interamente fatto in Italia, anzi, in quel fazzoletto d’Italia. Lo garantisce il Disciplinare, tanto che, quando si riscontrano irregolarità rispetto a queste norme, non ci sono pene pecuniarie ma il prodotto verificato non può essere venduto come Parmigiano Reggiano DOP. Alle forme viene oltre che metaforicamente, proprio fisicamente tolto il marchio con macchine sbiancanti che eliminano la crosta. Il Parmigiano Reggiano deve dunque il suo nome alle province di provenienza.

2. Da quando esiste il Consorzio del Parmigiano Reggiano

Il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano, con il nome di “Consorzio interprovinciale grana tipico”, nasce nel 1934 per gestire il marchio, è il primo e il più antico consorzio del mondo dei formaggi. Allora, nei mercati cominciavano a diffondersi formaggi che commercialmente venivano chiamati reggiano o parmigiano ma non erano del territorio. Da qui l’esigenza di un Consorzio che identificasse le forme autentiche, difendesse il prodotto e lo marchiasse.

Gli altri consorzi si costituirono dopo la guerra, nel '54, ed è allora che si comincia a parlare di ‘disciplinare’ (prima si chiamava genericamente standard di produzione), per il Parmigiano Reggiano così come per l’Asiago, il Grana Padano, la Fontina. Nel '54 il Consorzio prese il suo nome attuale. Oggi sono circa 305 caseifici che fanno parte di questo consorzio (dati 2021).

3. Come si distingue la qualità del Parmigiano Reggiano?

Attraverso l’assaggio, usando i sensi, il Parmigiano Reggiano va degustato (e consumato) alla temperatura di 16-17 °C, ridotto in scaglie disposte dal più recente al più stagionato. Durante una degustazione al Caseificio Sociale Conduro di Fidenza, abbiamo scoperto che esiste una scaletta di assaggio che aiuta l’esperienza sensoriale e può guidarci nella comprensione delle qualità del prodotto. È un esercizio che possiamo fare tutti, ci piace perché promuove un’attenzione e una educazione al consumo del cibo sempre più auspicabile e necessaria.

Ecco le fasi della guida al tasting che coinvolge tutti i sensi: - guardare il campione - prenderlo fra le mani e comprimerlo fra i polpastrelli - spezzarlo in due e annusarlo per valutarne l’odore - morderne un pezzetto e deformarlo fra i denti - masticarlo, facendolo roteare in tutto il cavo orale - espirando l’aria dal naso, valutare l’aroma e la persistenza - valutare l’intensità dei sapori fondamentali e le sensazioni trigeminali - distinguere le caratteristiche strutturali percepite in bocca - dopo aver deglutito il campione, valutare l’eventuale comparsa di retrogusti

Fra un assaggio e l’altro, prima di passare al pezzo più stagionato, si raccomanda di bere dell’acqua e consumare un grissino, per spezzare la degustazione ripulendo la bocca.

4. La principale differenza tra Grana Padano e Parmigiano Reggiano

Guardando al prodotto, senza considerare prezzo o zona di produzione, la principale differenza tra Parmigiano Reggiano e Grana Padano è da attribuirsi all’alimentazione delle vacche.

Le vacche il cui latte si utilizza per fare il Parmigiano Reggiano mangiano solo fieno e, in primavera ed estate, erbe fresche (che regalano più aromi e un colore giallo intenso al formaggio). La dieta è regolamentata dal disciplinare, che vieta l’uso di foraggi fermentati, come il mais. A settembre, quando ancora sono umide, le piante del mais vengono tagliate, trinciate, stivate nelle stalle, ridotte a una massa vegetale che viene fatta fermentare. Questo processo genera la formazione di batteri anti-caseari che si combattono con degli additivi. Il disciplinare del Parmigiano non consente l’uso di additivi. Nella produzione del Grana Padano al contrario l’utilizzo di foraggi fermentati è consentito e così di additivi, ma non chimici. Per combattere i batteri viene impiegato infatti un additivo estratto dalle uova, di origine biologica.

5. Queste cose sono interessanti e forse non le sapete

I puntini bianchi sul Parmigiano Reggiano non devono farci pensare che non sia di buona qualità, si tratta infatti di cristalli di tirosina e sono indicativi della stagionatura: il numero e la dimensione di questi puntini cresce proporzionalmente alla stagionatura.

Il Parmigiano Reggiano è senza lattosio già dopo 48 ore dalla produzione, questo perché tutto lo zucchero (lattosio) viene trasformato in acido lattico ad opera dei batteri lattici.

È possibile visitare un Caseificio del Consorzio e farsi guidare attraverso tutta la filiera di produzione del Re dei formaggi. Noi siamo stati accompagnati in questo viaggio pieno di scoperte da Iginio Morini, Responsabile Promozione Territoriale del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano che ci ha illustrato ogni passaggio che porta alla realizzazione di questa eccellenza. Abbiamo chiuso la nostra visita con una scenografica passeggiata fra le forme accanto al robot che le pulisce. Si chiama robot di pulizia, preleva le forme, le inserisce in una scatola che contiene delle spazzole e dopo averle spazzolate le gira e riposizione sugli scaffali. La pulizia un tempo veniva eseguita a mano. Che fatica!

A. M.

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