Attualità

“Il surgelato è il fresco che dura più a lungo”: Orogel e i 25 anni del passato Verdurì

pubblicata il 21.02.2024

Solo verdure nostrane, raccolte in stagione e surgelate entro 2-3 ore, fermando il deterioramento a beneficio della qualità: da Cesena ci hanno raccontato uno dei piatti pronti più apprezzati dagli italiani

“Il nome è nato quasi per scherzo, da un'idea del nostro presidente che giocava con le parole e immaginava come sarebbe stato il passato di verdura”. Non quello che si prepara in cucina, proprio il passato remoto di un immaginario verbo verdurare.

È con questo divertente aneddoto che Luca Pagliacci, direttore marketing di Orogel, ha scelto di ricordare con noi la nascita di quello che forse è il prodotto più noto dell'azienda di Cesena, cioè appunto il passato surgelato Verdurì. Che in questi giorni compie 25 anni: “È stato presentato a fine 1998, poi abbiamo iniziato a venderlo l'anno dopo”, ci ha raccontato Pagliacci.

Il surgelato? “È come un film messo in pausa”

Il nome Verdurì è nato un po’ per caso, ma anche il prodotto in sé ha in qualche modo un’origine inconsueta: “Orogel è stata fondata oltre 50 anni fa (nel 1967, ndr) e l’idea del surgelare era inizialmente una specie di piano B, una soluzione al problema dell’invenduto - ci hanno raccontato dall’azienda - Che cosa fare con le verdure raccolte ma non vendute, per evitare che andassero sprecate? Inizialmente si pensò alla liofilizzazione, poi venne l’idea di surgelare e alla fine si capì che poteva essere un vantaggio, non una semplice alternativa”.

Anche perché era una caratteristica che permetteva di andare incontro a una fra le principali richieste dei clienti: “Orogel già faceva e vendeva un suo minestrone, le persone lo compravano e lo trovavano buono, ma dalle nostre analisi di mercato veniva costantemente fuori che molti lo frullavano prima di mangiarlo”. Lo rendevano un passato, dunque venne l’idea di produrlo già così, “per evitare ai clienti questo ulteriore step”.

Clienti che all’inizio erano un po’ dubbiosi su questo nuovo prodotto: “In Italia, il pregiudizio sul surgelato non è ancora superato del tutto, sembra sempre un ripiego - ci ha detto ancora Pagliacci - La verità è che il fresco vale di più solo se è raccolto e consumato in giornata, altrimenti non ha molto senso”. Seguendo questa filosofia, l’azienda ha difeso la sua idea e investito molto in essa, anche a livello di comunicazione, con campagne sui quotidiani e pure in televisione, con volti noti come Raffaella Carrà, Pippo Baudo, Gerry Scotti e altri. Ha funzionato, tanto che oggi Verdurì è il terzo prodotto più venduto fra i circa 450 che Orogel ha a catalogo: “Apri la confezione, metti le gocce (monoporzioni da 8 grammi ciascuna, ndr) che ti servono e in 7 minuti è pronto”. Oppure anche 1-2 di queste monodosi possono essere usate per insaporire un altro piatto, non necessariamente come portata principale.

L’importante, secondo l’azienda di Cesena (che in realtà è una cooperativa che raccoglie circa 1600 soci), è ricordare che “il surgelato è come un film messo in pausa: resta lì e non cambia, pronto a ripartire quando lo si scongela, con le stesse qualità del fresco”. Per fare arrivare questo messaggio, però, la sensazione è che servirà altro tempo e altro lavoro: “Il mondo degli chef non aiuta molto - ci ha fatto notare Pagliacci - Usano i surgelati ma non ne parlano, non lo dicono e anzi parlano sempre del prodotto fresco”. Di più: “L’Italia è l’unico Paese in Europa a imporre la presenza di un asterisco nei menu dei ristoranti accanto ai prodotti surgelati, come fosse un marchio di infamia. Invece dovrebbe essere considerato garanzia di qualità”.

Diversamente da noi, all’estero (in lingua inglese, per esempio) non usano il termine frozen per indicare i cibi surgelati ma “usano long fresh, che è un’espressione più gradevole e positiva, come per riferirsi a un fresco che dura a lungo”. Del resto, e questo esempio dovrebbe aiutare a fugare molti dubbi, “anche le nostre nonne, quando facevano la pasta fresca, congelavano quella che non veniva consumata subito per un successivo utilizzo".

Verdure italiane e i vantaggi del surgelamento IQF

In tutto questo, ovviamente, è fondamentale che l’operazione venga fatta per bene: “Le verdure che usiamo per Verdurì sono raccolte al giusto grado di maturazione e vengono surgelate nell’arco di 2-3 ore, così da mantenere intatte tutte le loro proprietà”. Dove vengono raccolte e dove vengono surgelate? “I nostri produttori agricoli stanno in Emilia Romagna, Veneto, Basilicata, Puglia e altre regioni italiane e usiamo solo verdure coltivate in Italia, con l’eccezione di quelle che non fanno parte della nostra tradizione, come i cavolini di Bruxelles, che vengono selezionate all’estero. E non aggiungiamo né glutammato né addensanti”. E poi che succede? “Succede che vengono portate rapidamente in uno dei nostri 3 stabilimenti, a Cesena, a Ficarolo (in Veneto) e a Policoro (Basilicata), dove viene completato il processo di surgelamento”.

In questo, la tecnologia e il progresso hanno aiutato molto: come ci hanno ricordato da Orogel (e come sa chiunque abbia qualche primavera sulle spalle), “20-25 anni fa si surgelava in blocco, gli spinaci si compravano in mattonelle da 4-500 grammi e dovevi scongelare tutto. E se non mangiavi tutto, dovevi buttare quello che avanzava”. Ora per fortuna non è più così grazie al cosiddetto IQF, una sigla che sta per l’inglese Individual quick freezing e indica il procedimento di surgelamento rapido e mirato: “Possiamo lavorare con maggiore precisione e minori sprechi - ci ha spiegato Pagliacci - E anche il consumatore ne trae benefici, perché può usare la quantità giusta, quella che gli serve, ha minori tempi di cottura e maggiore velocità”.

“Rinunciamo alla quantità per non rinunciare alla qualità”

Questi vantaggi, compreso il fatto di ridurre gli scarti e di avere le verdure che si vogliono a prescindere dalla stagionalità (la materia prima viene raccolta nel momento giusto dell’anno, surgelata e poi il consumatore può mangiarla quando vuole), stanno in effetti aiutando Orogel a superare alcuni dei pregiudizi e a consolidare il suo ruolo di primo piano nel settore: l’azienda sforna circa 148mila tonnellate di prodotto l’anno, nel 2022 ha raggiunto un fatturato di 325,5 milioni di euro e i suoi soci lavorano su circa 9500 ettari di superficie coltivata.

I cui frutti restano quasi totalmente in Italia: il 70% è destinato al consumatore finale, attraverso la grande distribuzione, il 30% alla ristorazione e di tutto questo appena il 5% viene esportato, soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone, dove “sono disposti a pagare il prezzo giusto per i nostri prodotti”, perché “non ci interessa essere in mercati dove vogliono prezzi più bassi perché magari da loro la coltivazione costa meno”.

Allo stesso modo, ci è parso che a Orogel non interessi strafare: “Produciamo quello che possiamo produrre, senza corse e senza l’ansia di fare - ci ha detto Pagliacci alla fine della nostra chiacchierata - Magari otteniamo meno quantità di quello che potremmo, ma con la qualità che ci siamo imposti”.

Emanuele Capone

Condividi

LEGGI ANCHE