Attualità

La terra dei cachi

pubblicata il 31.10.2012

Il caco - permettetemi la dizione popolare - è un frutto decisamente didattico. Se cercate di far capire a qualcuno l'effetto dei tannini sul palato basta citare la sensazione che provoca l'assaggio di un caco non perfettamente maturo e le facce immediatamente si illuminano. Il Dyospiros kaki viene da oriente, dalla Cina per essere precisi, anche se furono i giapponesi i primi a coltivarlo in maniera intensiva. Merito dei suoi frutti, dolci e nutrienti, dall'alto del loro 18% di contenuto in zucchero, alla pari con l'uva e il fico. Ma merito anche delle cosiddette sette virtù che gli vengono attribuite: la lunga vita, la grande ombra, l'assenza di nidi fra i suoi rami, la mancanza di tarli, la bontà del suo frutto, la possibilità di giocare con le sue foglie gelate, il fuoco e l'ottimo concime che si ottengono sempre dalle sue foglie. Il suo nome deriva dall'unione dei termini greci Dios ossia dio e pyros cioè frumento. Per questo viene chiamato pane degli dei, mentre Kaki è l’abbreviazione del giapponese Kaki no ki. Comunque sia il viaggio da oriente lo porta ad arrivare nel giardino del Boboli a Firenze nel 1871, e da lì in tutta Italia. È un albero semplice da coltivare: poche cure, poca necessità di potature, produzione sempre abbondante. Per questo la diffusione nel nostro paese è stata veloce e ampia, a partire dall'Agro nocerino, dove nel 1916 fu impiantato il primo diospireto. Ancor oggi la Campania la fa da padrona, con circa il 50%, seguita dall'Emilia Romagna con il 33% e dalla Sicilia con l'11%. Negli ultimi 10 anni la produzione annuale si è assestata attorno alle 50.000 tonnellate su 2.700 ettari di frutteto, circa un quinto di quanto si produceva negli anni '40, anche a causa dell'arrivo della mosca mediterranea della frutta. Il caco va mangiato con attenzione e precisione. Il momento più adatto lo si identifica solo con una lunga esperienza. Il frutto viene colto ancora acerbo dalla pianta, per sottrarlo dai primi geli dell'anno, e lasciato a maturare a lungo. Questo processo, detto ammezzimento, serve a mitigare l'effetto allappante dei tannini e consegnare al palato un frutto dolce, dalla consistenza a metà strada fra la gelatina e la crema. In realtà esiste anche una cultivar che dà dei frutti definiti caco-mela, in quanto subito edibili. Notevole l'apporto calorico: circa 70 kcal per 100 grammi di prodotto. Difficile il suo utilizzo in cucina, se non tal quale, in particolare per la difficoltà ad individuare il giusto grado di maturazione del frutto, e quindi saper dosare la dolcezza del risultato finale. Ma se volete fare come Giuseppe Verdi, grande estimatore di questo frutto, apriteli a metà, cospargeteli di zucchero e irrorateli di champagne. Poi fatemi sapere. Foto Stefano Caffarri

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