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Cos’è la Panarda abruzzese: 50 portate dall’antipasto al dolce

pubblicata il 21.09.2023

Il Vice Presidente dell'Accademia Italiana della Cucina ci racconta la Panarda, un'antica pratica gastronomica di cui forse non avete mai sentito parlare. Storia di un menu di 50 portate e di un guardiano di Panarda che ti obbliga a finirle.

Ci sono tradizioni gastronomiche di cui sappiamo poco e questo rende difficile tramandarne la memoria, ma proprio per questa ragione è coinvolgente indagarle. È questo il caso della Panarda, rito gastronomico di cui in rete si trovano informazioni scarse e confusive, perciò abbiamo raggiunto Mimmo D’Alessio, gastronomo e vicepresidente dell’Accademia Italiana della Cucina e, soprattutto, abruzzese, come la Panarda del resto.

Cos'è la Panarda?

Un lungo banchetto di origine medievale, un rito. Lungo perché durava anche tre o quattro giorni e perché le portate potevano arrivare a cinquanta, una tradizione un tempo diffusa in diverse località dell'Abruzzo citeriore. La parola Panarda ha un etimo incerto, una versione la vuole derivata da “pan” (pane) e “ard” (lardo), oppure dal greco "pan" (tutto).

Il Dottor D’Alessio ci spinge a guardare al passato oltre le definizioni, in modo flessibile, “la Panarda è l’espressione del rapporto tra cibo e potere, è una dichiarazione del proprio status sociale”. Questa antica pratica ci aiuta a comprendere la forte relazione tra cibo e disponibilità economica, “del resto, quando qualcuno parlava molto bene, in modo corretto e forbito, si diceva: Quello parla cibato. Cibato perché non era costretto a lavorare, poteva studiare e imparare perciò un eloquio non comune”. Sei ricco, mangi bene e tanto, non devi lavorare, studi e parli correttamente.

“Possiamo distinguere due formule di Panarda”, continua D’Alessio, “quella religiosa e quella laica”.

Panarda religiosa

“Il rito religioso si teneva soprattutto in alcune zone della Marsica, dove la devozione per Sant’Antonio abate era ed è forte, il 17 gennaio si celebrava il Santo e si scioglievano i voti. In questo contesto la Panarda religiosa non somiglia certo a una maratona gastronomica e conviviale”. Chi doveva sciogliere un voto investiva una parte delle proprie risorse per sfamare la povera gente, “era un modo per ingraziarsi Dio. Sapete come si diceva, che è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio”. Perciò la Panarda era una scorciatoia per avvicinarsi al Paradiso.

“Il pasto era frugale in questi casi, ma pur sempre abbondante rispetto a chi non aveva da campare”, continua D’Alessio, “legumi e fave cotte scodellate offerte ai paesani, e preghiera”.

La Panarda si celebra ancora in alcune zone della Marsica, la notte tra il 16 e il 17 gennaio, la cena dura tutta la notte, si mangia, si prega, si canta e il panadiere (colui che la organizza) scioglie il suo voto.

Panarda laica

Quella profana ha la stessa matrice, nasce sempre dalla giustapposizione povertà versus opulenza. Mimmo D’Alessio ci aiuta a capirne il significato che contiene con un esempio molto chiaro “Oggi chi sta bene ostenta un orologio, allora si ostentava il cibo. Si usava anche sparare un colpo di cannone a salve per scandire ogni singola portata servita. Pensate a chi poteva fare a malapena un pasto al giorno e sentiva un colpo dopo l’altro, fino a quaranta o cinquanta cannonate”. Non solo, il cibo era elemento di prestigio e merce di scambio nel caso, per esempio, di un debito di riconoscenza.

Tra le caratteristiche più interessanti D’Alessio ci ricorda che “la Panarda ha una sequenza precisa, una coerente successione di sapori. Si servivano piatti particolari, di palazzo, raffinati, spesso chicche che venivano da fuori, inaccessibili nel quotidiano. La pecora, per esempio, è cibo della transumanza, non adatto alla Panarda”. E poi la Panarda era cosa da uomini, questo lo abbiamo capito. Un rito virile che va calato nel momento storico in cui si teneva per comprenderne storia e valore. “Come il vino del resto, quello rosso era da uomini, quello bianco per le donne. Se la Panarda non si teneva per un matrimonio o per un battesimo, in quanto simbolo del potere maschile, poteva celebrare la nascita di un figlio maschio, di un successo lavorativo o la fine del servizio militare”. Tanto più che non era concesso saltare le portate o congedarsi prima della fine, no, alla Panarda bisognava sostare e mangiare, infatti “il guardiano di mensa aveva proprio il compito di accertarsi che tutti mangiassero e bevessero in modo adeguato, onorando il padrone di casa”.

Ma come si svolgeva la Panarda?

Si partiva con gli antipasti di magro (pesce), a seguire il brodo, gli antipasti di grasso (carne), i primi piatti, i secondi, i formaggi, i dolci. Interessante la funzione del brodo “si posiziona subito dopo il pesce, essendo ricco di grasso di carne crea una patina che protegga lo stomaco”. “È una presenza fissa di tutti i pranzi abruzzesi”, continua D’Alessio, “si serve soprattutto in inverno ma in alcune località, come a Poggiofiorito, viene consumato anche a Ferragosto, caldo naturalmente”.

La riscoperta della Panarda avviene ad opera dell’Accademia della Cucina Italiana abruzzese negli anni 80, l’Accademia la ripropone, solo ogni 5 anni, il 4 novembre, perché complessa da organizzare. Gli ospiti arrivano da tutto il mondo interessati e affascinati da una pratica gastronomica probabilmente unica, con regole tecniche e cibi di altissima qualità.

La nostra guida nel mondo della Panarda ci ha lasciati con un monito: "Ricordate, alla Panarda non si arriva digiuni, al contrario è bene arrivare allenati". Il nostro interlocutore è particolarmente autorevole, nel 2000 fu panadiere della Panarda del Giubileo, dove, si legge in un resoconto “i botti e i colpi di tamburo hanno accompagnato tutte le 58 portate e i non conteggiati brindisi collettivi...”.

Vi riportiamo il menu completo della Panarda del 2000 perché, ricetta dopo ricetta, aiuta a farsi un’idea del ritmo e motiva l’allenamento richiesto.

Il menu della Panarda del Giubileo.

Insalata di mare. Pannocchie alla Francavillese. Seppioline ‘mbuttite. Alicette marinate. Scapece alla Vastese. Baccalà e pipidigne. Cozze e peperazze. Spaghetti al sugo di pesce. Risotto accio e zafferano. Zuppa di ceci e castagne. Zuppa campagnola. Baccalà in umido.

Brodo della Panarda.

Lesso e sottaceti. Tacchino alla canzanese.

Decotto di nonna Carmela.

Prosciutto di Gamberale. Uova lesse. Buganella di fegato al mosto cotto. Capriccio d’Abruzzo. Ventricina teramana. Frittata alle erbette. Frittata con le patate. Coppa dei Chiavaroli. Pipedigne e ove. Coratella cacio e ova.

Torcinelli alla chietina. Pizza e foje. Taccozze e fagioli al sugo di cinghiale. Pasta allo sparone. Chitarrina alla zucca gialla. Timballo.

Coniglio del rigoletto. Carciofini all’olio d’oliva. Papera alla Riccardo. Spinaci soffocati. Agnello cacio e ova. Braciola d’asino. Salsiccia di carne. Salsiccia di fegato. Broccoletti saltati. Prosciutto in porchetta. Accio e Finocchio.

Decotto della Maiella.

Stracciata di Agnone. Ricotta. Caciocavallo d’annata. Cacio marcetto. Pecorino di Casale.

Bocconotto di rapino. Angioletti. Torta del Giubileo. Parrozzo. Cancellate. Nepole di Ortona. Neole all’arancia. Rimpinzo di cioccolato. Novelle della Pescara.

Letto il menu si capisce che la Panarda è tante cose, un rito gastronomico, una celebrazione, una maratona, per certi versi può diventare una sfida o addirittura una minaccia. Sotto l’intimidazione del guardiano di Panarda, D’Annunzio, in occasione della Panarda elettorale organizzata in suo onore, perse i sensi pur di sottrarsi alla tortura gastronomica. Certo, una reazione poco degna di un Vate…

Annalisa Musso

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