Attualità

Interviste | Alessio Planeta

pubblicata il 23.07.2013

In quella copertina di fine Novecento del Gambero Rosso, Alessio Planeta se ne stava con un bicchiere in mano in compagnia della cugina Francesca. Era il periodo del boom del vino e dello strapotere delle guide cartacee. Planeta veniva premiata cantina italiana dell’anno dalla guida più influente. Oggi Alessio, responsabile della intera produzione di Planeta, a 46 anni è uno dei più significativi uomini del vino siciliano. Il vostro Chardonnay è una delle bottiglie preferite dal cumènda in vacanza a Forte dei Marmi. Hai il diritto di rimanere in silenzio. Gli enofili ti etichettano, dopo di che: amen. So benissimo che siamo percepiti come bianchisti. E come industriali del vino. In realtà Planeta è una famiglia di agricoltori che possiede cantine di piccole dimensioni in alcuni dei principali territori regionali. In tutte le nostre cantine seguiamo in prima persona il lavoro in campagna e il processo produttivo. Gli enofili che hanno voglia di cambiare idea sono i benvenuti. In questi ultimi anni si parla quasi esclusivamente dell’est dell’isola, da Messina a Pachino. Soprattutto di Etna. E la Sicilia occidentale? L’est dell’isola ha legato un preciso numero di vitigni a ciascun territorio. L’Etna è nerelli e carricante, Pachino è nero d’avola, eccetera. Benissimo. Ti dirò di più: il grande vino, quello da 100/100, in futuro verrà dall’Etna. La Sicilia occidentale è invece un territorio di sperimentazione, una avanguardia. Per questo trovi sangiovese e chenin blanc, catarratto e syrah. Qui le condizioni agronomiche sono sin troppo vantaggiose, e la varietà dei terreni è pazzesca. Ma è da qui che è partita la riscossa. Jancis Robinson scrisse che il nostro Chardonnay aveva avuto il merito di aver posizionato la Sicilia nella cartina dei vini del mondo. Il nostro Chardonnay viene dal vigneto Ulmo, a Sambuca, tra Agrigento e Trapani Quindici anni fa voi produttori top della regione ci faceste una testa grande così con la storia dei vini del sole... Gli appassionati volevano concentrazione. Niente di più facile per noi. Poi siamo maturati, loro e noi, e la conoscenza dei territori è incrementata esponenzialmente. Abbiamo capito dove spingere sull’acceleratore e dove lavorare di fino. Non è che in questi climi estremi dovreste ripensare alcuni capisaldi dell’enologia, come il rapporto tra  fittezza degli impianti e qualità dell’uva,  e la correlazione tra estratti e longevità? Hai una visione errata dei principali territori siciliani. Ci sono zone in Italia più calde delle nostre, anche se per noi l’irrigazione è fondamentale. Chiaro devi saperla gestire. Anche mia figlia di 8 anni conosce la storia della Sicilia sfruttata nel Dopoguerra con i vini da taglio e piegata alle grosse produzioni di Vermut e mosti vari. C’è del vittimismo in tutto questo? Non ti rendi nemmeno conto di cosa fosse la Sicilia del Dopoguerra. Dovresti leggere Terra Matta di Vincenzo Rabito. E poi i vini da taglio allora avevano già un mercato consolidato: a fine Ottocento la fillossera qui non arrivò, e tutto il mondo improvvisamente si mise a chiederci vino. E portainnesti, nella creazione dei quali eravamo all’avanguardia. Le domande simpatiche le hai fatte tutte a mia cugina? Planeta è stata capofila nella riscossa del vino siciliano. Il merito è di mio zio Diego, che a metà degli anni Ottanta, con il mercato dello sfuso in crisi a causa della tragedia del metanolo, puntò tutto sulla zonazione del territorio di Menfi e sulla qualità, cercando di capire cosa volevano i consumatori. Chiamò Scienza per la parte agronomica, Tachis per quella enologica e Giampaolo Fabris per capire il pubblico. Fu un salto in avanti impressionante, soprattutto di mentalità, in un periodo nel quale quasi tutte le cantine sociali ricorrevano ai contributi per la distillazione. Se non sbaglio ci dimentichiamo di un certo Marsala... L’apice del Marsala fu a fine Ottocento, proprio grazie alla impennata di domanda dello sfuso, di cui ti parlavo. Il mercato dello sfuso aprì il mercato del Marsala. Poi i produttori di allora gestirono male il successo. Il Marsala divenne il primo vino industriale della storia. Il Vergine è un vino mostruoso, con una immagine inadeguata, ma non lo produrrò mai. Se iniziassi a lavorarci adesso otterrei grandi risultati nel 2050. I vitigni esteri che avete piantato? Chardonnay e syrah danno risultati eccezionali. Il cabernet pure, ma devi amare lo stile Napa. Il merlot forse non lo ripianterei. Il più grande bianco e il più grande rosso che hai prodotto finora? Col bianco sono indeciso tra lo Chardonnay 1996, perché ci confermò che eravamo sulla strada giusta, e il Cometa 2001, che fu una gran botta di culo. Quando tutte le cose, anche quelle che non puoi controllare, vanno per il verso giusto. Sono ancora fantastici. Sul rosso dico Noto Santa Cecilia 2011. Quando ero ragazzo mai avrei pensato di fare un giorno un nero d’Avola di questo livello.

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