Attualità

Il Parlamento Ue salva la non-carne: i burger vegetali possono chiamarsi burger

pubblicata il 24.10.2020

Dopo giorni di dibattito, respinti tutti gli emendamenti che chiedevano di impedire l'uso delle parole legate alla carne in caso di prodotti di origine vegetale. Salvini: “Colpo al made in Italy, il governo non ha niente da dire?”

È un burger anche se è vegano, è una bistecca anche se ha solo ingredienti vegetali. Meglio: magari non lo è nel senso tradizionale del termine, ma si può continuare a chiamare così questi prodotti anche se non hanno origine animale. È questa, in estrema sintesi, la “non decisione” presa dal Parlamento europeo dopo giorni di dibattito, finiti con la bocciatura di tutti gli emendamenti (erano 4) che chiedevano di limitare l'uso delle denominazioni legate alla carne ai soli prodotti di origine animale. Quelli più vicini a farcela erano in realtà 3: divieto di usare per prodotti vegetali le parole relative a tagli (come “bistecca”) e preparati (l’hamburger, appunto); divieto con alcune eccezioni (per hamburger e salsiccia, per esempio); divieto con alcune deroghe ancora da decidere e successivamente autorizzare da parte della Commissione europea. Alla fine, nessuno ha raggiunto la maggioranza. Come è noto, il Parlamento Ue non ha potere sovranazionale, cioè non può legiferare all’interno dei vari Stati; può però dare indicazioni, e sicuramente un eventuale pronunciamento a favore di queste ragioni avrebbe in qualche modo condizionato l’approccio dei vari Paesi al tema, anche in prospettiva futura. Allo stesso modo, questi termini restano vietati dove sono già vietati, come in Francia. La (mezza) soddisfazione di Greenpeace e l’attacco di Salvini Dopo l’esito della votazione, fonti della Cia, la Confederazione degli Agricoltori italiani, hanno parlato di “un danno per il made in Italy” e di “occasione persa per tutta la filiera”, augurandosi che gli Stati possano “legiferare a livello nazionale per tutelare il diritto dei consumatori a un'informazione consapevole”; l’associazione ha invece accolto con soddisfazione il sì all’emendamento che protegge i prodotti lattiero-caseari, perché parole come “latte” e “burro” continuano a non poter essere usate per preparati fatti con soia e tofu. Che era una cosa che già in parte accadeva, seppure con differenze fra Paese e Paese e alcune eccezioni. Su questo, sulla questione dei latticini, delusione da parte di Greenpeace, che per bocca di Marco Contiero ha accusato il Parlamento Ue di essersi “piegato alle lobby, vietando a produttori di alternative ai latticini di adottare termini comprensibilissimi e di uso comune come ‘sostituto’ del latte o ‘alternativo’ al formaggio”. L’associazione ambientalista si è mostrata invece soddisfatta del blocco degli altri emendamenti che “riflettono il trend attuale, che vede sempre più persone seguire abitudini alimentari più sane e sostenibili basate anche su alternative alla carne e latticini” (come vi abbiamo raccontato in Il 2020 e il boom della carne vegetale) Fra le reazioni più dure, quella di Matteo Salvini: “Il Parlamento europeo non blocca la ‘carne senza carne’ e così facendo danneggia il made in Italy e i consumatori - ha detto il leader della Lega - Sul mercato potranno rimanere finti hamburger senza che sia segnalata con chiarezza la totale assenza di carne (cosa che in realtà non accade, ndr). È l'ennesimo schiaffo per i produttori italiani e per le nostre eccellenze, un regalo alle solite multinazionali. Il governo italiano non ha niente da dire?”. Perché è importante la “guerra dei nomi” Di quanto le parole siano importanti, anche in questo campo, se non soprattutto in questo campo, sul Cucchiaio l’abbiamo raccontato più volte (leggi Game of names: la battaglia sui nomi del cibo si sposta dai social network ai tribunali e a YouTube), ricordando che è su questa simbolica ultima linea di difesa che i produttori tradizionali stanno combattendo una battaglia che sembra ormai persa, soprattutto sul lungo periodo. È una battaglia a colpi di avvocati, carte bollate, ricorsi alle autorità nazionali e sovranazionali, ma pure pagine pubblicitarie sui giornali, spot in tv, video su YouTube. Ed è una battaglia cui i marchi delle cosiddette meat-alternatives, le alternative a base vegetale dei prodotti di derivazione animale, sono già preparati ad affrontare non appena arrivano sul mercato. Le americane Beyond Meat e Impossible Foods si chiamano così perché vanno “oltre” (beyond, in inglese) la carne o perché hanno creato cibi (foods) che sembravano impossibili, che si chiamano burger e non hamburger perché di carne dentro non ce n’è. La cilena Not Company (NotCo), si chiama Compagnia del Non, vende Non Latte e Non Maionese e sulle confezioni scrive che “This is Not Mik” e “This is Not Mayo”, cioè che “Questa Non è latte” e “Questa Non è maionese”, probabilmente anche per evitarsi noie legali da parte dei produttori di latte e maionese tradizionali. Ancora: la britannica This (ve ne abbiamo parlato in Londra, la non-carne in un ristorante stellato: la “prima volta” dell’Harwood Arms) ha scelto di chiamarsi così sia per creare un gioco di parole con i suoi prodotti, il “This isn’t Chicken” (in italiano, “Questo non è Pollo”) e “This isn’t Bacon” (“Questa non è Pancetta”, cioè) sia per cercare di sottrarsi alle cause e alle critiche sui social network. Perché lo ammette lei stessa che “Questa non è Pancetta”. Come detto, l’Europa si è occupata della questione anche prima di quest’ultima occasione: nel 2017, la corte di Giustizia stabilì il divieto di definire “latte” una bevanda non di origine animale (seppure con parecchi distinguo), mentre a fine 2019 è stato tolto dal mercato britannico il “parmigiano vegano” a base di anacardi, anche se in questo caso il punto non erano le parole, ma la violazione di un copyright. Intanto, i produttori tradizionali stanno imparando a combattere con le stesse armi dei rivali: gli americani di Hormel, che per quasi 130 anni hanno venduto prosciutti, insaccati e carne in scatola, a fine 2019 hanno messo in commercio burger vegetali col marchio Happy Little Plants, cioè Piccole piantine Felici. Perché il potere delle parole non va mai sottovalutato. 

di Emanuele Capone

Foto di apertura Beyond burger

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