Attualità

I gamberi italiani vanno indietro

pubblicata il 06.03.2013

C'è gambero di fiume e gambero di fiume. Una suddivisione abbastanza spartana li potrebbe dividere fra gamberi buoni e gamberi cattivi. Fra i primi annoveriamo i gamberi autoctoni, quelli che da piccoli andavamo a cercare sotto i sassi dei nostri torrenti. Fra i secondi gli invasori che negli ultimi anni sono arrivati in Italia minacciando la sopravvivenza dei primi. Ma andiamo per ordine. In Italia la specie di gamberi di fiume più diffusa è l'Austropotamobius pallipes, presente con le due sottospecie pallipes e italicus, anche se alcun studi fanno assurgere queste ultime al rango di specie. Sta di fatto che la prima è presente quasi esclusivamente a nord-ovest del paese, la seconda invece è molto più diffusa in tutto il resto della penisola. Altre due sono le specie autoctone: l'Austropotamobius astacus, gambero nobile, e l'Austropotamobius torrentium, il gambero di torrente. Per la verità sono presenze abbastanza sporadiche sul territorio nazionale. La tradizione e il consumo di gamberi in Italia si perdono nei secoli, in quanto fino alla fine dell''800 era facilmente reperibile nei nostri corsi d'acqua. Basta pensare che, in uno studio del 1899, viene riportato che ogni giorno mediamente 100 kg di gamberi di fiume prendevano la via dei mercati ittici italiani e francesi. Diversi tra l'altro i riferimenti a questo animale anche nei toponimi italiani: Valdastico e Gambellara in provincia di Vicenza, Gambara in provincia di Brescia, mentre il comune di Cento, in provincia di Ferrara, ha un gambero ben evidente nel blasone. Diversi anche i riferimenti nell'arte, da Giotto che lo usa come simbolo del segno zodiacale del Cancro, fino ad Arcimboldo, noto soprattutto per le sue teste composte, fatte mettendo insieme una serie di oggetti dello stesso genere. Il gambero, peraltro, entra anche nella tradizione cristiana. A causa della sua muta stagionale veniva infatti considerato simbolo della resurrezione e quindi consumato nei periodi di quaresima durante il Medioevo. Passiamo ora ai gamberi cattivi. Cattivi perché stanno inesorabilmente soppiantando le specie autoctone, attualmente a rischio estinzione. Il più diffuso di tutti è il gambero rosso della Lousiana, il Pacifastacus clarkii. Come sempre la colpa è di noi uomini. I primi esemplari rinvenuti in natura infatti sono sono stati trovati nel torrente Banna, un affluente del Po, dopo che erano scappati da un impianto di acquacoltura sperimentale. La sua aggressività, resistenza ai patogeni e all'inquinamento - a differenza dell'italicus - ne hanno favorito la rapida diffusione. Era stato introdotto da noi nel 1973 per cercare di arginare il fenomeno della peste del gamberoche aveva decimato le popolazioni autoctone. Oggi l'emergenza è sotto gli occhi di tutti: il gambero della Louisiana è infatti causa di una forte perdita di biodiversità nei nostri corsi d'acqua, tanto da portare alla scomparsa di diverse specie di molluschi, pesci e pure piante acquatiche. Oltre a questo è anche un pericolo per la stabilità degli argini a causa delle lunghe e profonde gallerie che scava. Dal punto di vista gastronomico il suo sapore è decisamente inferiore a quello dei nostri gamberi, e può portare dei problemi anche dal punto di vista sanitario. Il gambero della Lousiana infatti tende ad accumulare metalli pesanti e tossine, e quindi trasmetterli all'uomo, oltre che essere veicolo di patogeni pericolosi. Per queste ragioni un po' in tutta Italia sono in corso campagne di sensibilizzazione e tutela nei confronti dei gamberi italiani, tanto che il legislatore ne ha limitato o vietato la pesca in quasi tutte le regioni italiane. Quelli che trovate sulle tavole dei ristoranti o in pescheria sono di allevamento, e di norma di provenienza estera. Immagine: Université de Poitiers

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