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Due secoli di storia e 7 generazioni di vignaioli: dietro le quinte di Zonin 1821

pubblicata il 21.06.2023

Intervista con il vicepresidente della storica azienda veneta: “Per resistere tutti questi anni, il segreto è uno solo - ci ha detto - Devi essere innamorato”. Del vino, ovviamente

“Forse in Virginia”: Francesco Zonin ci ha risposto così, quando gli abbiamo chiesto dove gli piacerebbe essere nato, se non fosse nato in Veneto. Inteso come dove gli piacerebbe produrre vino, che è quello che la sua famiglia fa da oltre 200 anni. Ci ha risposto così ed evidentemente ha notato la nostra espressione perplessa, perché subito ci ha spiegato il perché: “È in Virginia che Thomas Jefferson (terzo presidente degli Usa, ndr) realizzò il primo vigneto degli Stati Uniti, di ritorno da un viaggio in Europa”.  

Suggestioni a parte, Zonin è veneto e veneto rimane, anche se l’azienda di cui è vicepresidente di strada ne ha fatta, partendo da Gambellara nel 1821: oggi è un colosso che ogni anno produce 50 milioni di bottiglie di vino e fattura quasi 200 milioni di euro, dà lavoro a centinaia di persone, esporta in 140 Paesi del mondo e ha sedi anche negli Stati Uniti (non è difficile indovinare dove), nel Regno Unito, in Cina e in Svezia.

Due secoli di vino, con in mezzo due guerre

Arrivare a tutto questo non è stato facile, e quando a Zonin abbiamo chiesto quali siano stati gli anni fondamentali per questa impresa e per le generazioni che l’hanno preceduto, è tornato indietro nel tempo con noi: “Credo che l’anno determinante sia stato il 1921, è lì che sono state gettate le basi di quello che facciamo. Il mio prozio era uno dei cosiddetti Ragazzi del ‘99 e dopo essere sopravvissuto alla Prima Guerra Mondiale, tornò a casa e mise in piedi l’azienda come la conosciamo ora”. Azienda che resistette anche all’impatto della Seconda Guerra Mondiale: “Riuscire a fare impresa dopo due guerre mondiali è probabilmente quello che più ci ha rafforzati””. 

Altra tappa fondamentale, per Zonin e per l’industria vinicola italiana, sono gli Anni ‘50 e ’60: “Ci siamo resi conto che potevamo fare il salto da azienda veneta ad azienda italiana, che potevamo vendere in tutto il Paese e anche abbiamo iniziato a muoverci all’estero", ci ha spiegato ancora Zonin. "L’Italia ha lavorato bene per rafforzare la cultura del vino e il patrimonio che aveva, si è iniziato a parlare di vitigni DOC e si è capito che la loro grande varietà, pur in un territorio relativamente piccolo, era una ricchezza e una forza da valorizzare. E noi siamo stati fra i primi a capirlo”. 

Tant’è che nei decenni successivi, più o meno ininterrottamente sino al 2000, hanno investito proprio nell’acquisto di terreni, vigneti e tenute, gestite in modo indipendente e i cui vini hanno etichette specifiche, ma accomunate nella distribuzione. È anche per questo se oggi Zonin ha una produzione distribuita su 1.700 ettari vitati e su tenute come Ca’ Bolani (in Friuli), Castello del Poggio (Piemonte), Tenuta Oltrenero (Lombardia), Castello di Albola e Rocca di Montemassi (Toscana), Masseria Altemura (Puglia) e Principi di Butera (Sicilia). Oltre che all’estero, cioè a Dos Almas in Cile e a Barboursvill in Virginia. Ovviamente.

Dal Veneto a 140 mercati nel mondo

Il resto è storia recente e guarda soprattutto all’estero, che per Zonin rappresenta circa l’85% del fatturato: “A partire dal 2000 ci siamo rafforzati in Italia ma soprattutto abbiamo allargato le nostre attività altrove", ci ha spiegato il vicepresidente dell’azienda. "E così siamo passati dai 40 mercati stranieri del 2005 ai 140 di adesso, toccati nel 2015”. 

I più importanti, come per altre compagnie italiane attive nel settore, sono Stati Uniti e Germania, ma “Regno Unito e Canada restano fondamentali” e ce ne sono altri significativi per altri motivi: “Siamo presenti anche negli Emirati Arabi, che sono una piazza interessante e che dal 2010 in avanti è cresciuta molto, e anche nel Sud-Est asiatico, che ha conosciuto un grande boom negli ultimi 20 anni", ci ha detto ancora Zonin. "Sono tutti posti che generano un fatturato magari non significativo dal punto di vista economico, ma in cui è necessario esserci anche per questioni di immagine”. 

Ed “esserci” sembra proprio la parola chiave di questi ultimi anni: in attesa che “si risolva la terribile situazione in Ucraina, che era un mercato importante insieme con la Russia”, l’obiettivo adesso non è cercare nuovi canali di vendita ma “fare sì che quelli con grande potenziale possano fare meglio”. Iniziando dall’Italia.

Com’è cambiato il nostro rapporto con il vino

Per Zonin, il mercato interno rappresenta circa il 18% delle vendite, che non è poco ma potrebbe essere di più. L’azienda sta lavorando su questo, anche se non è un’operazione facile e soprattutto non è un’operazione rapida: “Il nostro è un settore lento e molto competitivo, e lo è soprattutto in Italia, dove c’è un’enorme varietà di vitigni e dove ci sono circa 400 diverse etichette di vino”, ci ha spiegato Zonin. Non basta fare un vino di qualità, per avere successo? “Bastava sino agli anni Sessanta, adesso non basta più: la qualità è una condizione necessaria ma non più sufficiente. Devi produrre vino di qualità, ma poi devi anche essere bravo a fare la comunicazione, a curare le pubbliche relazioni, a organizzare la distribuzione, a fare gli investimenti giusti”. 

E a convincere una clientela che beve meno vino di prima ma vuole berlo buono: “In questi due secoli abbiamo visto cambiare molto il rapporto degli italiani con il vino - ci ha raccontato Zonin, attingendo ai ricordi della sua famiglia - Prima era prevalentemente un alimento, una fonte di calorie, e se ne consumava e produceva molto di più”. Quanto di più? “Siamo passati dai 120 a 40 litri a persona all’anno e da 84 a 40 milioni di ettolitri di produzione annua”. E però, siamo anche passati a fare sì che il vino non sia più solo un bene di consumo ma anche un veicolo di cultura: “Sino agli anni Venti del secolo scorso non c’era molta scelta, c’erano bianco e rosso e basta, l’Italia era nota per il tessile e il metalmeccanico. Poi ci siamo accorti che potevamo fare altro e che potevamo farci conoscere per altro, e adesso il vino è cultura ed è fra i prodotti che ci rappresentano, che mostrano la ricchezza di biodiversità dell’Italia nel mondo”.

Vini da supermercato e vini da concorso

Nel frattempo, il vino è diventato più accessibile: “L’Italia oggi dà tanta qualità in tutte le fasce di prezzo, soprattutto in quella compresa fra i 7 e i 10-15 euro a bottiglia - ci ha fatto notare Zonin - Questa cosa è difficile da ritrovare all’estero, impossibile in Paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito. Forse solo il Giappone ci è simile nel permettere di mangiare e bere bene spendendo cifre relativamente contenute”. 

Parte del merito di questo “va ai supermercati”, e non è un sacrilegio ammettere che oggi si può comprare vino buono o molto buono pure nei punti vendita della grande distribuzione, dove “stando sotto la soglia dei 15 euro, ci si può portare a casa bottiglie di ottimo livello”. Un’altra parte del merito, per quanto possa suonare strano sentirlo, va al coronavirus e alla pandemia: “Soprattutto nei primi mesi di lockdown e restrizioni c’è stata una notevole impennata dei consumi - ci ha confermato Zonin - E in alcuni casi dura ancora, tanto che abbiamo nostre etichette, come Tenuta Oltrenero, le cui vendite sono triplicate fra il prima e il dopo Covid”. 

Allo stesso modo, Zonin ha a catalogo tante etichette che da anni ricevono riconoscimenti e vincono trofei in competizioni internazionali come Wine Spectator o International Wine and Spirit Competition. Quando abbiamo chiesto come si fa a fare un vino da concorso, la risposta è stata che “non fai un vino specifico per questo: fai un vino di qualità, e poi magari vinci un concorso”. Ancora: “Quello che puoi fare è valorizzare quello che hai, conoscere i vitigni e sapere quello che possono dare”. O anche il modo in cui possono differenziarsi: “Un esempio è la nostra tenuta toscana Castello di Albola. Ormai sappiamo che la parte più verso il bosco dà un’uva diversa, da cui viene un vino diverso e potenzialmente di qualità superiore. Quella è l’uva con cui produciamo il Chianti Santa Caterina, che infatti ci dà grandi soddisfazioni ogni anno”. Come vincere la medaglia d’oro all’edizione 2023 del Berliner Wine Trophy, per esempio.

Una storia d’amore in equilibrio fra passato e futuro

Chiacchierando con Zonin, quello che ci è comunque sembrato di percepire è che il punto non sia tanto questo, e che chi produce vino non faccia preferenze fra quelli da supermercato e quelli da competizione. Il punto è che per andare avanti per oltre 200 anni e 7 generazioni, il segreto è uno solo: “Devi essere innamorato del vino, delle colline, dei territori, della vita che si fa in quei territori e delle comunità che li abitano. Devi capire che c’è altro oltre al fatturato - ci ha detto Zonin con convinzione - Devi rispettare la tradizione, in certi casi tornare pure all’agricoltura di una volta, ma restando al passo con i tempi e senza chiudere gli occhi davanti al progresso. Devi trovare il giusto equilibrio”. 

Che è un po’ quello che cerca di fare l’azienda della sua famiglia: “In 200 anni ci siamo mossi in tanti ambiti diversi, siamo partiti dall’Italia e siamo arrivati praticamente in tutto il mondo, ma tenendo comunque ben salde le nostre radici”. Che sono in Veneto e non in Virginia, con buona pace di Thomas Jefferson.

Emanuele Capone

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