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Digiuno a intermittenza: tutto quello che c'è da sapere

pubblicata il 22.06.2023

Cos'è, come funziona, quali sono i benefici e le controindicazioni, a chi è consigliato e perché: ce lo racconta la Dottoressa Stefania Vescia Medico Chirurgo Specialista in Scienza dell’Alimentazione

Partiamo da una premessa: digiuno a intermittenza non significa che nelle ore in cui è consentito mangiare ti butti sul cibo come un tuffatore professionista. Significa fare attenzione a quando si mangia ma anche a quanto si mangia. Si sente spesso parlare di questo modello alimentare che promette, nel nostro immaginario, oltre al dimagrimento, una sorta di ‘pulizia’ del corpo, per questo abbiamo chiesto alla Dottoressa Stefania Vescia Medico Chirurgo Specialista in Scienza dell’Alimentazione di aiutarci a capirne le caratteristiche, i vantaggi e le controindicazioni.

Ma prima di tutto, cos’è: “Il digiuno alimentare è considerato un modello che prevede l’astensione dal cibo per un periodo che, di solito, è un po’ più lungo rispetto a quello standard dei nostri tre pasti al giorno”. Lo definisce con chiarezza la Dottoressa Stefania Vescia che abbiamo raggiunto al CDI di Milano.

Le origini

“Le origini di questa pratica - ricorda la Dottoressa - sono antiche e spesso legate alla religione, basti pensare alla Quaresima, il periodo che precede la Pasqua, durante il quale, nei cosiddetti giorni ‘di magro’, si rinuncia al consumo di carne, o ancora al Ramadan”. Dunque, le sue origini in qualche modo ne avvalorano le qualità, il concetto di digiuno è familiare alla nostra cultura e al nostro corpo.

Non siamo dunque di fronte a una pratica che arriva da oltreoceano e ci suggerisce di mangiare solo gelato per qualche mese. Il digiuno fa parte della nostra storia fin da quando la carne era un lusso e la sua rinuncia un’opera di devozione o, per ragioni meno spirituali, il cibo stesso era un lusso. In breve, i nostri antenati di digiuno, come conseguenza di una condizione economica precaria (non a intermittenza), se ne intendevano più di noi.

Diverse modalità di digiuno intermittente

“La più praticata” continua Vescia “è la 16:8. 16 ore senza mangiare e 8 in cui si mangia, in corrispondenza della colazione e del pranzo oppure del pranzo e della cena (in funzione di quanto il paziente ritiene più adeguato al suo stile di vita). Esiste anche la formula 5 su 2, ovvero per 5 giorni alla settimana si mangia normalmente e per 2, non consecutivi, ci asteniamo dall’assumere del cibo”. Ci sono varie combinazioni possibili, la più diffusa resta la 16:8.

Cosa succede nel digiuno intermittente

Ma cosa succede nel nostro organismo quando non introduciamo cibo? “Nel nostro corpo ci sono organi che lavorano e per farlo ricavano energia solo dal glucosio. Quando non introduciamo cibo, il primo meccanismo che subentra è la liberazione del glucosio dai depositi epatici di glicogeno. Dunque, quando il glucosio che introduciamo mangiando termina, parte la glicogenolisi epatica, meccanismo metabolico che torna a fornire glucosio ai diversi organi. Questo meccanismo è rapido, i depositi di glicogeno epatico si esauriscono in 12 ore”.

Questo il primo passaggio, non mangiando non assumiamo glucosio ed ecco che parte il consumo dei depositi di glicogeno epatico, ma non è finita: “Se il digiuno persiste cominciamo a bruciare i grassi del tessuto adiposo, ovvero i trigliceridi, che si consumano e producono acidi grassi. Alcuni organi sono in grado di utilizzare direttamente questi acidi come fonte energetica, altri no, come il cervello, per esempio, che ‘va a glucosio’, e ha bisogno di un passaggio di trasformazione degli acidi che avviene nel fegato. Questo passaggio è la chetogenesi, ossia dagli acidi grassi si formano i corpi chetonici, una fonte energetica in grado di superare la barriera ematoencefalica per cui il nostro cervello, così come altri tessuti, li possono usare come fonte energetica”. È il principio, particolarmente popolare in questi anni, delle diete chetogeniche che riducono l’apporto di carboidrati così che il nostro organismo sia stimolato a produrre i corpi chetonici bruciando tessuto adiposo.

Ma che succede se non interrompo il digiuno? “Si innesta l’ultimo meccanismo: gluconeogenesi epatica. Cioè nel fegato si produce il glucosio ma a partire da precursori non glucidici, principalmente aminoacidi, ma così ci mangiamo la nostra massa muscolare”. Questa modalità si attiva dopo circa 24 ore di digiuno. Insomma, quando gli organi il glucosio non lo trovano più in nessun modo, avendo esaurito le prime opzioni, il corpo passa a impiegare gli aminoacidi, le proteine dei muscoli, per produrlo”.

Il meccanismo è perfetto, il corpo trova diverse strade per sopperire all’apporto di glucosio, quando non gliene restano. A seguito di un digiuno troppo prolungato, allora, come reagisce? “Per semplificare, il corpo dice: tu non mi dai carburante mi costringi ad abbassare il consumo, e così comincia ad abbassarsi il metabolismo basale”, sottolinea Vescia.Per questa ragione il digiuno deve essere limitato nel tempo.

I benefici del digiuno

Seguite con attenzione, una cosa è l’effetto un’altra è il beneficio. Infatti, dice Vescia, “Il primo effetto del digiuno è la perdita di peso. Se però osserviamo i dati della letteratura, soprattutto la più recente*, scopriamo che la maggior parte degli studi concorda sul fatto che la perdita di peso che ottengo con un digiuno intermittente è più o meno uguale a quella che raggiungo con una dieta ipocalorica. Dunque, il digiuno a intermittenza non sembra essere più efficace per la perdita di peso di una restrizione calorica”. È un altro modo di perdere peso, non è una scorciatoia più efficace, è una scelta che funziona e che porta con sé altri benefici, legati alla perdita di peso. Come dire: è soprattutto dimagrire che fa bene se il corpo ne ha bisogno, non se lo fai con il digiuno o facendo attenzione per tutte le 24 h a quello che mangi. 

“Sono svariati i benefici che si ottengono: migliorano tutti i parametri metabolici, la glicemia, il quadro lipidico, e ancora si riduce lo stato infiammatorio dei tessuti (da cui originano molte patologie)”. Continua Vescia: “Studi clinici dicono che il digiuno intermittente ha degli altri effetti positivi specifici: una neuro protezione, un’azione antitumorale, una modulazione dell’autofagia, tutti effetti in fase di studio”. 

È vero che si “pulisce” il corpo?

Quando si parla di digiuno a intermittenza, rispetto ad altre pratiche per favorire il dimagrimento, l’idea è che il corpo si ripulisca, la fantasia è che il corpo passi attraverso una sorta di bonifica salutare. Ma è davvero così?

“Un digiuno breve permette di eliminare le tossine. La modulazione dell’autofagia è questo, un meccanismo che il corpo mette in atto per rimuovere i tessuti danneggiati. Perciò il digiuno per un periodo breve funziona anche come pulizia, ma deve essere un digiuno limitato nel tempo o scattano gli effetti negativi”. 

Effetti negativi

“Di effetti negativi si parla nel digiuno prolungato in pazienti in sovrappeso od obesi, che lo praticano ma che nei periodi di dieta libera si abbuffano, è questo il rischio principale. Su un periodo eccessivamente lungo si rischia una riduzione del metabolismo basale, oltre a stanchezza e alterazione dell’umore”, precisa la Dottoressa Vescia.

Controindicazioni: quando il digiuno a intermittenza non va praticato

In alcuni casi il divieto è assoluto, in gravidanza e allattamento. In presenza di patologie particolari che richiedono terapie farmacologiche fortemente legate all’assunzione del cibo. Fra i giovanissimi e le persone che soffrono di DCA (disturbi del comportamento alimentare)”.

Se fate sport in modo amatoriale potete praticare il digiuno a intermittenza, sebbene lo sport vada fatto quando il corpo ha delle risorse, per chi fa agonismo invece non è raccomandato.

Il digiuno a intermittenza in breve

Il 16:8 è una forma di digiuno a intermittenza che va seguita sotto il controllo di uno specialista, ma non basta, deve essere integrata alle regole di una buona educazione alimentare nei periodi in cui si mangia. Troppo spesso si finisce con il porre attenzione sul quando si mangia, ma non sul quanto si mangia e su cosa si mangia. 

“L’ideale sarebbe non saltare la prima colazione bensì la cena. Dunque, fare colazione, pranzare, e fare una piccola merenda nel pomeriggio per poi saltare la cena limitandosi ai liquidi”. Ma cosa mangiare quando si mangia? “In linea di massima si danno indicazioni generali a chi affronta questa pratica. La colazione è la “classica”: latte, yogurt o kefir con quota di carboidrati, biscotti integrali, cereali, fette biscottate, marmellata senza zuccheri o frutta fresca. Il pranzo sempre con una quota di carboidrati complessi integrali con proteine vegetali o animali e una quota di verdura e frutta e uno spuntino con cereali integrali o frutta fresca”.

“Ma queste regole non sono per tutti – torna a sottolineare la Dottoressa - ognuno ha delle necessità differenti. Io insisto sull’educazione alimentare tutti i giorni rispetto al digiuno a intermittenza. Perché il rischio è che si associ alla libertà l’opportunità di mangiare qualunque cosa”.

Del resto a tutti è capitato di saltare la cena e di sentirsi bene, anzi talvolta meglio, il giorno dopo. “Il nostro organismo segue i ritmi circadiani e verso sera è più predisposto al riposo, quindi ad assumere meno cibo”.

Colazione da re, pranzo da principe, cena da povero. I nostri antenati il digiuno a intermittenza lo esprimevano così.

* 1.“Calorie Restriction with or without Time-Restricted Eating in Weight Loss” Deying Liu et al. N Engl J Med 2022; 386:1495-1504;   2.“Intermittent Fasting versus Continuous Calorie Restriction: Which Is Better for Weight Loss?” Qing Zhang et al. Nutrients 2022; 14(9):178

A. M.

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